J. Morelli, Archeologia_11
Ho visto le foto di Jessica Morelli alcuni mesi fa, ne sono rimasta così colpita che mi sono ripromessa di scriverne qualcosa e ora, nel terzo ed ultimo post su La strada, mi sembra il momento opportuno.
Un elemento che mi ha colpito dalle prime pagine di quel libro è il fatto che nonostante l'ambientazione post-apocalittica, desolante, grigia, cupa, dove dominano la distruzione e la cenere, c'è qualcosa di profondamente vivo e quasi “feroce”: la natura. Anche gli alberi, le piante, i fiori stanno piano piano scomparendo, però, a 10 dalla fine del mondo descritta da McCarthy, ancora resistono, in un ultimo, estremo tentativo di riprendersi ciò che è loro: ruscelli che si scavano letti dove c'erano trasmettitori, rampicanti che invadono i supermercati, alberi che “esplodono” di rami nelle case di antichi proprietari, di cui la terra ha ormai consunto i cadaveri.
Queste foto, sebbene non così “devastate” seguono questo filone: lei fotografa queste specie di “santuari” industriali dopo l'abbandono, come spettri, rovine. Ma, a ben guardare, c'è un mondo che rinasce lì dentro: l'acqua filtra dalle soffitte ai pavimenti, la luce penetra dalla finestre, cespugli di ogni tipo si fanno largo nei posti più improbabili, sembrano quasi dire: “Qui prima c'ero io, tu sei venuto di prepotenza e ora mi riprenderò ciò che mi spetta.”. Quello che da una parte è visto come una disfatta, dall'altra è una ripresa, quello che da un lato è la fine di qualcosa, dall'altro è “ecosistema”. Io credo – opinione personale – che la fotografa per scattare queste foto abbia avuto un rapporto molto più diretto e comunicativo con la natura più che con le strutture nell'inquadratura... Quasi quasi glielo chiedo!
J. Morelli, Archelogia_16
J. Morelli, Archeologia_14
J. Morelli, Archeologia_13
J. Morelli, Archeologia_20
J. Morelli, Rudere01