Questa fase storica, tramandataci dalle cronache greche e romane ma a suffragio della quale non rimangono evidenze archeologiche, ebbe luogo prima che Parthenope (qualunque cosa ella fosse) si arenasse sulla costa di Napoli.
Ripercorriamo un attimo la storia degli insediamenti locali: anticamente popolazioni autoctone vivevano nelle grotte (trogloditi) lungo la costa.
Questa costa offriva un approdo sicuro nell'isolotto di Macharis/Megalia (l'attuale Castel dell'Ovo) che fu così occupato da navigatori, alcuni propongono fenici.
Si noti che il nome “Megalia” non è greco. Se lo fosse, esso sarebbe legato al concetto di “grande” (megas), ma tutti sanno che l'isolotto di Castel dell'Ovo non risponde assolutamente (né rispondeva in epoca storica) alla definizione di “grande”.
Il primo insediamento del quale si hanno prove archeologiche è comunque Miceneo, e di questo sono rimaste tracce nella leggenda di Giasone e degli Argonauti (i marinai della nave Argo). Uno di questi argonauti si chiamava, per l'appunto, Eumelo Falero. Secondo alcuni, questo Falero è un arciere ateniese, il che conforterebbe la dedica del primo porto di Atene a suo nome, figlio dell'altro abilissimo arciere cretese Alcone.
Il nome di Eumelo l'abbiamo già incontrato in un altro post come capostipite di una fratría neapolitana, quella degli Eumelidi, la cui esistenza è dimostrata da diverse testimonianze archeologiche. Dobbiamo quindi accettare che una parte della popolazione neapolitana proclamasse di discendere nientemeno che da questo Eumelo Falero, ennesimo fondatore della città.
Ma altre, importanti testimonianze dell'esistenza di Falero, sono andate perse col tempo, come la celebre Torre di Falero posta accanto al porto di epoca greca e che viene menzionata da diversi autori greci e latini. Essa era dunque un monumento al fondatore della città nel punto dove, possiamo presumere, egli prese terra.
Così Licofrone, nel IV sec. a.C.:
Poi che Ulisse avrà vinte le sirene, le tre figliuole di Acheloo, Parthenope (Napoli), Leucosia (Punta Licosa) e Ligea (Terina, attuale Sambiase, nel comune di Lamezia Terme), una di esse sbattuta dal mare, accoglieranno la torre di Falero e le rive del Clani (Sebeto), e sul sepolcro che le sarà innalzato dagli abitatori di quelle contrade, le vergini, ogni anno, verranno a libare e a far sacrifici di buoi in onor di Parthenope, la Dea-uccelloStrabone, nel I sec. a.C. non cita Falero, ma rende un'idea di quanto fosse già allora complicata la storia di Neapolis:
Neapolis, città dei Cumani. Successivamente fu ri-colonizzata dai Calcidesi, e anche da alcuni coloni di Pithecusa (Ischia) e Ateniesi, e perciò fu chiamata Neapolis. Un monumento di Parthenope, una delle Sirene, è indicato a Neapolis.È da osservare che gli stessi Calcidesi sono ritenuti fondatori della colonia greca di Ischia, dalla quale fu fondata Cuma. È possibile quindi leggere il passo pensando che Neapolis fu prima fondata dai Cumani e, quando fu necessario ri-popolarla a seguito di guerre o carestie o quando essa si estese sul territorio, i Cumani invitarono di buon grado tanto i Calcidesi come gli Ischitani coi quali rinsaldarono così antichi e mai sopiti legami di parentela.
È ancora Stazio, il poeta romano nato e morto a Napoli nel I sec. d.C., a citare l'eroe eponimo Falero, quando nelle Silvae dice
e tu, Apollo, capo di quel popolo esiliato lontano, del quale la colomba, ancora accoccollata sulla sua spalla sinistra, Eumelo adora con amorevole cultoIn epoca medievale, un epigrafe nella chiesa di Sant'Eligio (nei pressi di Piazza Mercato) recita:
PARTHENOPAE . EUMELI . PHAERAE TESSALIAE .REGIS . FILIAE . PHARETIS . CRETIQUE REGUM .NEPTIS . QUAE EUBOEA . COLONIA .DEDUCTA CIVITATI . PRIMA . FUNDAMENTA IECIT . ET DOMINATA. ESTORDO . ET . POPULUS . NEAPOLITANUS . MEMORIAM AB ORCO . VINDICAVITovvero
A Parthenope, figlia di Eumelo re di Fera della Tessaglia, nipote di Farete e dei re di Creta, che con coloni partiti dall'Eubea (regione che comprende Chalcis), diede alla città le prime fondamenta e la governò. Il popolo napoletano pose la sua memoriaIn quest'epigrafe troviamo addirittura legati il mito di Falero con quello di Parthenope, la seconda essendo figlia del primo.
Ma la tradizione di Falero è stata ripresa ancora in epoca recente (ai primi del '600) da Filippo Cluverio, considerato il fondatore della geografia storica:
Neapolis urbs ante Parthenopes dicta est prius Phalerum - La città di Napoli prima era chiamata Parthenope e in principio FaleroChe chiaramente indica che i nomi di Falero e Parthenope appartengono a epoche storiche distinte.
Ancora Pietro Lasena, nella sua opera postuma del 1689 Dell'Antico Ginnasio Napoletano, riportando le parole di Stefano Grammatico, dice
Falero è una città presso gli Opici (Campani), nella quale sbatté Parthenope la Sirena, e dicesi Napoli.e cita Apollonio Rodio, poeta del III sec. a.C., scrittore delle Argonautiche, per attribuire il nome di Eumelo al nostro Falero.
Orbene, se con tanta autorità si attribuisce la fondazione di Falero a un argonauta, si sta automaticamente localizzando nel tempo quest'evento tra cento e duecento anni prima della distruzione di Troia. Al contrario, seguendo Omero, bisogna accettare che Parthenope sia stata fondata dopo la guerra di Troia.
E ancora Michele Vargas Macciucca, primo propugnatore nel 1764 dell'ipotesi fenicia per la fondazione di Neapolis, osserva acutamente che il termine “torre” usato da Licofrone non è mai usato per indicare una città, quanto piuttosto una vera e propria torre, un monumento, un manufatto, ma certamente non un abitato, per quanto piccolo.
Da osservare che, quando il Vargas propone la fondazione fenicia per Neapolis, uno dei motivi addotti è un'etimologia parth-nop che dovrebbe significare “felice clima”, praticamente un altra variazione sul tema di “campania felix”...
Ma quando si legge il Celano affermare, nel 1860
Essendo dipoi capitata nella nostra Falero molti anni doppo della fondatione, Partenope greca, figliuola del re di Fera, venutavi dall'isola d'Euboa con molti calcidici, che anco greci erano, piacendoli molto il sito e l'amenità del paese, volle fermarcisisi comprende che, in mancanza di riferimenti certi e di prove archeologiche, tutti i miti, i nomi, i tempi si sono miscelati, e solo l'archeologia degli ultimi sessant'anni ha portato luce certa sull'evoluzione dei primi periodi di Neapolis, la quale resta comunque nota in maniera lacunosa.
Sono certi i ritrovamenti micenei e quelli cumani, il che stabilisce l'affidabilità di alcune fonti rispetto ad altre.
Dal canto nostro non possiamo che prendere atto di quanto scoperto e sperare che ulteriori lavori riescano a gettare definitivamente luce sul passato della nostra città.