Usa, India, 2007
87 minuti
Lulu lavora come croupier nel casinò di un albergo di Koreatown (Los Angeles); vive sola, in una delle lussuose stanze dell'hotel. Le sue giornate trascorrono nell'apatia e nel silenzio, spezzato solamente da una voce cronista alla tv (dove scorrono continue immagini di repertorio di un'imprecisata guerriglia - o forse, sono le avvisaglie di una futura apocalisse?) o dagli sporadici incontri con la sorella più giovane (Nitzan), psicotica e gravemente delibitata dall'abuso di psicofarmaci. Anche i dialoghi sono rarefatti e quelle poche parole che le due sorelle si scambiano, finiscono col toccare sempre lo stesso argomento: la figura materna. Una figura ostile e fisicamente assente, ma che sembra comunque perseguitare le loro vite, specialmente quella di Lulu, fino a invaderne i sogni più profondi...
Phantom Love è una gemma rara nella cinematografia contemporanea d'autore, complessa (quasi occulta, direi), ma estatica come poche altre. La sua regista, Nina Menkes, figura di rilievo nel panorama indipendente americano più marginale, cineasta totalmente autonoma e tenuta in grande considerazione dai circuiti festivalieri, lo descrive come "un dramma surreale incentrato sulla psicologia di una donna - un gioco di bambole russe". Infatti, il film non segue una costruzione lineare e la sua struttura si compone (e va scomposta a) di livelli sondabili per profondità; "ogni scena finisce col confluire in un'altra che si trova a un livello maggiore di profondità". Questo continuo discendere a uno stadio sottostante altro non è che un'esplorazione a ritroso nel mondo interiore della protagonista, fino a svelarne i ricordi di un'infanzia enigmatica (il neonato deposto nella cassetta in legno), resa ancor più torbida dalla fotografia tinta carbone. Ma da qui, bisogna partire, se vogliamo cercare (per quanto possibile, data l'ermeticità dell'opera) di ricomporre il mosaico e riordinare i frammenti di un incoscio (quello di Lulu) nel quale le figure della madre e della sorella sembrano interagire, fino a provocarne forse, una scissione; uno sdoppiamento della personalità - "le due sorelle potrebbero essere la rappresentazione delle due parti della psicologia di una donna" - magnificamente rappresentato con quell'impressionante sovrapposizione dei volti. C'è anche un rapporto arcano che unisce le tre donne, forse un passato dai risvolti incestuosi (se pensiamo all'inesplicabile segmento saffico) che può solamente riemergere attraverso l'atto sessuale che precede il sonno; il sesso, come propulsore per affondare nell'onirico. E la scena iniziale fa già da monito; tre minuti, in cui assistiamo a un coito (che si ripeterà più volte nel corso del film, ma fondamentale, per penetrare nel subconscio della protagonista) consumato con l'amante di turno e che ci mostra l'insofferenza (che potrebbe trarci in equivoco), nel volto di una donna i cui pensieri sono oramai distanti, dove hanno già oltrepassato la sfera del tangibile. Levitano, come farà successivamente il suo corpo (in quell'affresco di tarkovskijana memoria) sospeso in una dimensione trascendente dove i perturbamenti, le paure, si disintegrano in schegge luminose.