Philip Groning: La Moglie del Poliziotto
Creato il 02 dicembre 2013 da I Cineuforici
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PHILIP GRONINGLa Moglie del Poliziotto(Die Frau des Polizisten, Germania 2013, 175 min., col., drammatico)
TRAMA. Storia di una giovane coppia che si trasferisce in una piccola città con la figlioletta di 4 anni. Completamente assorbito dal proprio lavoro di poliziotto, il marito pian piano si allontana da moglie e figlia che invece, nel frattempo, stabiliscono un legame sempre più stretto. Ben presto, la nuova condizione scatenerà una serie di conflitti all'interno della famiglia... (cinematografo.it)
Per un miracolo della distribuzione italiana, in concomitanza della giornata contro la violenza sulle donne, è uscito in italia uno dei film più interessanti (in senso positivo o negativo, non importa: interessante) dell'anno. Ricevuto in maniera contrastante al Lido, insignito del Premio della giuria, dal pubblico è stato per lo più respinto se non canzonato; sia da chi ha accusato il regista di aver voluto annoiare il pubblico (la noia vera, forse, è quella di chi accusa di noia), sia da chi ha accusato il regista di aver confezionato un film di eccessiva lunghezza (per costoro, forse, Lav Diaz sarebbe da crocifiggere). Il che significa non conoscere nè il regista nè quella che è la sua innovativa idea di "tempo" del cinema.
Anfang Kapitel
Presentandolo a Venezia nel 2005, con Il Grande Silenzio Philip Groning aveva già offerto un saggio del carattere "ascetico" del suo cinema. Attraverso la rappresentazione della vita dei monaci certosini in un monastero delle Alpi francesi, in ben 164 minuti di preghiere, rituali e cerimonie religiose, il regista, entrando nel monastero, aveva ricambiato la perfetta quiete e regolarità del luogo con un rigore stilistico estremo. Il risultato fu una esperienza cinematografica di rara bellezza. Lo stesso rigore risiede in La Moglie del Poliziotto. Il film è diviso in 59 capitoli, di durata variabile a seconda del loro contenuto, e separati con rigidezza archivistica (Anfang Kapitel n; Ende Kapitel n come titolo su sfondo nero). Se all'inizio l'intento lascia sconcertati (al primo capitolo, che mostra solo un ramo e un cervo sullo sfondo, il pubblico ha riso), il meccanismo poi diventa assimilabile (tranne che a qualcuno, a testimonianza del pubblico uscito dalla sala). La ragione per costringere lo spettatore a un tale rigore è duplice. La prima ragione è quella di scomporre la vicenda in scene ben distinte e apparentemente indipendenti, temporalmente e spazialmente, le une dalle altre, con una tecnica che ricorda quella del mosaico. La seconda ragione coinvolge più profondamente la natura "classica" del cinema e opera un cambiamento radicale nella relazione che si instaura tra opera e fruitore dell'opera. L'idea di base è che ogni singolo frammento conserva l'immagine del tutto, e lo spettatore può gestire il contenuto ricevuto dal frammento come meglio preferisce. Così come, osservando un dipinto di pittura astratta, si ha l'impressione che ogni elemento produce la stessa sensazione dell'insieme. Il regista tedesco si spiega molto chiaramente:
"Ogni capitolo è una scena. E' la situazione, quindi, che determina la durata del capitolo. Volevamo che il pubblico entrasse e uscisse da queste scene, perciò le abbiamo suddivise dando a ognuna un punto di entrata e di uscita. I capitoli permettono di mantenere un certo distacco. La distanza, importante per lasciare gli spettatori liberi di giudicare, è anche una sfida che lanciamo al pubblico, che segue con attenzione una storia senza essere preso in ostaggio"
Così ogni singola scena convoglia la stessa suggestione dell'opera intera. Poco cambia se si toglie un frammento a caso, ma contemporaneamente quel frammento conserva la stessa importanza dell'insieme.
Al centro c'è l'orrore della violenza domestica; il dramma di un marito poliziotto che comincia ad umiliare e a picchiare la moglie. Ora, tra i mille modi in cui si poteva rappresentare una vicenda così terrificante, aggravata dalla coercizione psicologica subita dalla figlia, Groning sceglie quella dello sguardo e della pazienza; sceglie di rappresentare la quotidianità familiare, una normalità che è banale (dormire, svegliarsi, mangiare) eppure squarciata da tracce di una violenza che c'è stata, o che verrà. Il risultato è un film sulla violenza domestica senza precedenti sia per impatto emotivo che per ricercatezza espressiva. Di conseguenza, che si veda l'opera di Groning dall'alto o dal basso, cioè dal suo insieme o dai suoi frammenti, fa poca differenza. Negli attimi che cattura, gli spazi vengono dilatati (zoom/carrellate da primissimi piani "all'indietro", cogliendo l'autentica poesia del dettaglio) così come i tempi (al regista va evidentemente stretto il concetto di cinema rinchiuso in 90 minuti). Ogni segmento non solo vive di vita propria, indipendente uno dall'altro, ma va a inserirsi con precisione chirurgica in un quadro molto più ampio, in cui si confondono passato e futuro, in un gioco di rimandi eccezionale. Può capitare ad esempio che un capitolo segua una volpe che attraversa la strada; non cogliamo il senso di ciò eppure la volpe è avvolta agli eventi e ha un legame con i protagonisti, anche se solo inconsciamente percepibile. L'insieme, d'altra parte, costituisce un meditato affresco del male. Groning riesce a iniettare tensione anche nei momento di maggiore tenerezza, sorvolando da vicino con la macchina da presa i suoi attori, indugiando sulla pelle, sul sangue e sui lividi che coprono progressivamente il corpo della moglie del poliziotto.Ende KapitelGroning non giudica mai e non si affida neanche per un secondo ad alcuna forzatura o semplificazione, mostrando la figura del poliziotto contemporaneamente come padre amorevole e come mostro. E lancia, al 59esimo capitolo, un enigmatico e silenzioso grido al pubblico in sala, mediato dalla profondità dello sguardo di una bambina che ti fissa, interrogativa. L'immagine più forte e più bella all'ultima Mostra del Cinema. E stavolta, nessun Ende Kapitel per noi.Stefano Uboldi
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