Regia: Stephen Frears Origine: UK, USA, Francia Anno: 2013 Durata: 98' La trama (con parole mie): Philomena è un'anziana donna irlandese che, da mezzo secolo, rimugina sul destino del bambino che partorì quando era ancora una ragazza, considerato un peccato da scontare dalle suore presso le quali viveva e venduto come figlio adottivo ad una coppia di coniugi statunitensi. Venuta casualmente in contatto con Martin Sixsmith, ex capo ufficio stampa del Labour Party caduto in disgrazia presso i colleghi nonchè esperto giornalista, la vecchia signora finisce per ispirare lo stesso nella stesura di un libro verità sulla sua vicenda. Supportata dalla figlia - avuta successivamente rispetto alla permanenza nel convento - e da una fede ed un ottimismo incrollabili, la donna si metterà in viaggio con il disilluso ed ateo Martin nella speranza di ritrovare il figlio ormai adulto negli States.
All'uscita in sala di Philomena, nuova pellicola firmata dal veterano Stephen Frears, ammetto di aver storto il naso all'idea dell'ennesima proposta da signore attempate da the delle cinque finto radical chic buone giusto per la pomeridiana all'Anteo - sala milanese tanto bella quanto inesorabilmente destinata ad un pubblico da sonore bottigliate -.
Tutto questo perchè, per dirla come la direbbe Philomena - la piccola, grande protagonista del qui presente sorprendente prodotto, interpretata ottimamente da Judi Dench -, non sono altro che un "ateo babbeo": lontano, infatti, dalla fede e dalla forza d'animo di questo charachter decisamente più complesso di quanto non appaia, avevo bollato l'opera di Frears come qualcosa di altamente trascurabile, da rimandare ad un'eventuale visione riempitivo futura, in barba alla nomination all'Oscar che, a visione dei candidati al titolo di miglior film avvenuta, risulta decisamente più meritata rispetto a quelle di Gravity e Captain Phillips - non che ci volesse molto, direte voi: ma lo scrivo come un complimento -.Come si sarà dunque intuito, mi trovo a dover rivedere la posizione a proposito di un titolo che non sarà la scossa definitiva concepibile da uno spettatore o il riferimento assoluto per questo inizio duemilaquattordici - in questo senso soltanto un film è riuscito quasi ad affiancare lo strepitoso The wolf of Wall Street -, ma che è senza dubbio onesto, diretto ed efficace, pur non contando su una trama particolarmente innovativa o un ritmo da cardiopalma.La perfetta sinergia che si crea tra la Dench e la sua spalla Steve Coogan - in questo caso presente anche in veste di produttore e sceneggiatore - sopperisce infatti ad una prima parte fin troppo lenta ad ingranare spingendo l'audience verso una conclusione al contrario efficace e toccante, in grado di colpire dal momento della rivelazione sull'identità ed il destino del figlio perduto di Philomena al confronto finale che vede coinvolta l'insolita coppia di viaggiatori ed improvvisati investigatori e la Superiora responsabile della vendita del bambino della protagonista, separato dalla madre all'età di tre anni. Rispetto a questo stesso confronto, e cercando con tutte le forze di non spoilerare troppo, inutile per me non prendere le parti - e la posizione più decisa - di Martin, scettico rispetto alla Fede ed ancor più riguardo le istituzioni religiose, pronto a gridare contro un'ingiustizia tra le tante commesse dalla Chiesa nel corso dei secoli e come tante lasciate ben nascoste sotto il pesante tappeto del timore reverenziale che in troppi, ancora, dimostrano di avere quando si tratta di confrontarsi con i galoppini dell'Altissimo, a prescindere dalla provenienza geografica e culturale degli stessi.Una cosa, però, c'è da dire in favore delle conseguenze di questo incontro tra uno scettico convinto ed una vera credente: così come fu per Vita di Pi, non è detto che il faccia a faccia tra due opposti, quando è costruttivo e votato alla scoperta sincera dell'altro, non sia utile ad entrambi per guadagnare qualcosa in termini umani ed emotivi.E la sensazione che io stesso ho provato nell'osservare lo sforzo ed il coraggio di Philomena nell'approcciare il perdono è stata quella di una più che sentita ammirazione, perchè neppure con tutte le buone intenzioni riuscirei a giustificare una scelta così forte e pura.Se non l'amore per un figlio, sia esso perduto, o ritrovato.Ed in questo senso, al termine del loro viaggio, Martin e Philomena finiscono per ritrovarsi entrambi nel ruolo che, forse, hanno inseguito per tutta una vita. MrFord "Mother, you had me, but I never had you I wanted you, you didn't want me so I, I just got to tell you goodbye, goodbye." John Lennon - "Mother" -
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