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Olbia
É una città punica fondata nel IV a.C. ma presenta tracce più antiche. Le fonti greche e latine (Pausania) parlano di una fondazione attribuita a genti greche guidate da Jolao. Uno dei materiali più interessanti rinvenuti è un simulacro ligneo trovato fuori contesto nell’area di un pozzo sacro. Negli scavi della città più volte sono venuti fuori materiali da trasporto greci: anfore ioniche, attiche, corinzie e coppe ioniche. Tutti questi materiali facevano pensare ad una frequentazione greca della città, ma negli ultimi 5 anni è stato trovato da Rubens D’Oriano un contesto greco integro con una grande quantità di materiali mediterranei dell’VIII a.C. accompagnati da materiali greci di VII a.C. L’ipotesi è che la Olbia arcaica sarebbe di fondazione mediterranea nel 740 a.C. e fino al 650 a.C., seguì una fase di frequentazione greca fino al 540 a.C. quando la battaglia navale di Alaria per il controllo del Mediterraneo occidentale fra greci, etruschi e cartaginesi, combattuta nelle acque fra Sardegna e Corsica e persa da tutti i contendenti, pone fine alla frequentazione della città. Dal IV a.C. abbiamo molti più elementi di datazione. Forse era un emporio e l'impianto della città è fortificato infatti fino all’Ottocento erano percorribili le mura. Le fortificazioni sono quasi del tutto scomparse, sono visibili solo in pochi punti della città. Si tratta di muri simili a quelli di Lilibeo, con zoccolo costruito con grandi blocchi di granito, la pietra locale, torri sporgenti e cisterne. La pianta è trapezoidale con doppio paramento verso nord e ovest, con muro singolo verso il mare. L'area è quella di Iscia Mariana dove Taramelli mise in luce una struttura complessa con quattro torri quadrangolari a distanza di 58 m, una delle quali con cisterna a bagnarola. La struttura era cinta con blocchi squadrati in granito a doppio paramento con distanza di 4 m: forse un corridoio percorribile o forse un riempimento per una maggiore resistenza. Un'altra torre è stata individuata a "idda zonedda" vicino alla stazione.
Il santuario si trova al centro della città dove c'è la chiesa di San Paolo. Essendo un tempio di Melqart ci fa capire lo spirito con il quale Cartagine fondò le città. Nello scavo del 1939 sono stati rinvenuti grossi blocchi squadrati, non certo di una abitazione, e si pensò ad una struttura pubblica. Rubens Doriano ha individuato un accesso monumentale, un pavimento a ciottoli e altre strutture che evidenziano un tempio punico con blocchi isodomi in granito, cementati con malta pozzolana. Il tempio era dedicato a Eracle per la presenza di un frammento fittile, forse una maschera. Una equipe di subacquei ha recuperato nel 1990 una testa cava del II a.C. rappresentante Eracle, con la leontè sul capo. È stata riferita ad ambiente di elìte romana che riusciva a far arrivare da Roma manufatti di fattura elevata. Il manufatto a maschera non è altro che un elemento della testa recuperata. Quindi un tempio di Melqart (Eracle romano) del IV a.C., molto recente dunque. Per Rubens Doriano c'è un richiamo alle divinità della prima fondazione con spirito coloniale di Cartagine. Melqart era protettore delle fondazioni in aree non controllate direttamente dalla città fondatrice. Gli ultimi scavi evidenziano una città datata dal IV a.C, non sono documentati strati più antichi. In sintesi notiamo una progettazione fatta a tavolino con impianto regolare simile a Lilibeo.
Le necropoli sono tre: Funtana Noa, Abba Noa e Joanne Canu. Sono in due aree distinte ma probabilmente era un’unica grande necropoli che l'urbanizzazione ha diviso. Fu scavata da Doro Levi, dal 1936 al 1940, quando vennero portate alla luce ben 150 tombe. La maggior parte sono tombe a camera con modulo d’accesso a pozzo, ma in alcuni casi presentano alcuni gradini alla base e dei banconi dentro le camere, esattamente come molte tombe africane. Questo dimostra che la fondazione di Olbia fu resa possibile dalla presenza di coloni venuti dall’Africa che hanno portato le loro tradizioni. Sono documentate anche tombe a camera con pozzo senza riseghe ma con gradini alla base come quella di Soùsse, a sud della Tunisia. Ci sono anche banconi di tipo tunisino-libico per la deposizione del corredo. Il sistema di chiusura delle tombe è rappresentato da muretti costruiti con anfore capovolte da trasporto messe in verticale come quelle che troviamo nei siti tombali nord-tunisini. Quindi un rapporto strettissimo con la madrepatria africana. Troviamo anche delle tombe a fossa con riseghe tagliate a diverse altezze oppure delle scalette tagliate su un lato che non sono documentate in altre aree della Sardegna. La pratica funeraria più diffusa nel IV a.C., oltre ai primi due tipi, è quella a cassone.
Nel III a.C. si diffonde il rito dell’incinerazione, praticata in tombe a cista e a fossa, che sono però più numerose. Per i materiali preziosi abbiamo la collana di Funtana Noa del 350 a.C. che presenta una tecnica particolare: in età punica si usava la tecnica dove la pasta di vetro era applicata sul nucleo di argilla cruda apposto su un bastoncino. Sul nucleo, inserito nella pasta di vetro fuso, venivano realizzati i particolari con una pinzetta applicando gli elementi quando erano caldi. Al raffreddamento si eliminava il nucleo e quindi nella parte posteriore si vedono le tracce dei fori. Erano più preziosi dell’oro ed erano prodotti in varie aree mediterranee e puniche. C'era uniformità di produzione in base al tempo e contemporaneità in varie zone, praticamente delle mode. Erano trasportati per il commercio anche in ambito celtico.
Le immagini sono tratte dal sito www.comune.olbia.ss.it
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