Magazine Diario personale

Piacere! Io sono un water (Nono capitolo)

Da Gattolona1964

LINGERIE DA URLO!

Vi avevo promesso un capitolo da leggere solo se NON siete portatori di protesi di qualsiasi genere, soprattutto non dovete avere problemi cardiocircolatori, diabete, prostata infiammata o tic nervosi. Consiglio di non mentire a voi stessi, chi ha provato a leggerlo e ha fatto il furbo, ha dovuto assistere al distaccamento della protesi personale, ha dovuto provvedere a farla rifare e dato che siamo in estate, tutti i produttori e costruttori di tali strumenti sanitari erano chiusi per ferie. Perciò attenti a voi! Io vi ho avvisato, buona lettura gattoloni pasticcioni.

(Capitolo riservato ai soli adulti con cuore e altri organi perfettamente in ordine, pena un infarto da Nobel).

L’ho pensato giorno e notte quel completo intimo da prima notte di nozze, l’ho sognato per una vita: io con addosso solo un water, venivo spogliata di brutto dal marito, che stanco di essere da me sessualmente rifiutato, perché si deve arrivare vergini alle nozze, usava martello e scalpello per togliermi di dosso reggiseno e slip. Altro che strappare l’intimo con i denti, altro che distruggere le calze  a rete con le unghie dei piedi! Se il completo è di ottima marca, cioè la ceramica è buona, a volte potrebbe servire anche il martello pneumatico. Mi risvegliavo madida di sudore, ma con mia grande soddisfazione ho visto il tutto nella mia mente disegnato e perfettamente realizzato. Il reggiseno dovrà essere a pieghe, confezionato e cucito con la carta igienica rosa, i seni verranno così appoggiati nelle due tazze con naturalezza estrema. I coperchi saranno in pura seta ed in genere si presenteranno abbassati; i porta capezzoli due piccoli pitali da notte, le spalline due catenelle per azionare lo sciacquone. Le catenelle verranno lavorate all’uncinetto, fermate con un nastro ed i gancetti appositi in oro e brillanti, con la scritta, al centro della schiena ”aprimi subito”. In questo modo si alzano i coperchi, si tolgono i pitali, si liberano i seni e voilà! Se il fidanzato non presta attenzione e non copre il viso con un elmetto, si troverà catapultato a terra per l’urto violento che i seni, liberi e di solito arrabbiati, gli procureranno. Se li troverà stampati in viso ricevendo un paio di schiaffi al naturale, schiaffi di carne, ma pur sempre sberle. Voi mi chiederete “Ma se non ho molto seno, se ho una sottozero, come faccio a fargli avere quei due schiaffi che si merita? Non acquisterò mai quel reggiseno! Perché mai dovrei acquistarlo, anche se è l’ultima moda? Visto la tavola da surf che mi ritrovo sul davanti, è meglio pensi ad acquistare una tuta da surfista! ”Ho pensato anche a questa ipotesi: dalla taglia zero alla numero due, vi metterò a disposizione un pittore. Sì avete capito bene. Un artista che con pennelli e tempere, disegnerà due piccoli seni accucciati dentro due altrettanto carini pitali da notte. Il gioco è fatto, seni disegnati con il pennello depositati all’interno del nostro reggiseno sui toni del rosa carne e saprà disegnare anche la stradina per aprirlo al momento opportuno. Non me ne voglia il cesso, ma bisogna fare di necessità virtù e questa volta invece di essere reale, sei solo virtuale e malizioso amico mio. Manca qualcosa però: la parte di sotto naturalmente e qui mi sono sbizzarrita, arrivando persino a cantare a squarciagola da sola sul mio water, per quanto sono riuscita ad inventare. Care amiche, partiamo da un presupposto ben preciso: non tutti i sederini sono mandolini, non tutte le natiche sono fatte col compasso, non tutte le donne hanno vent’anni. Di conseguenza non ho potuto disegnare un modello di water a mutanda che andasse bene per tutte e non potendo controllare di persona ogni fondoschiena per ovvi motivi, mi sono rifatta alle antiche usanze, dove le mutande non venivano usate. Tutto qua, fine del discorso, niente mutande, culetti al vento, si mostrano le chiappe chiare ma.. tremendo ammutinamento del water. I water più agguerriti, quelli iscritti al sindacato sempre in prima linea per scioperare, mi hanno fatto capire che se non avessi pensato a completare con il pezzo di sotto l’intimo, non si sarebbero prestati a contenere i distributori del latte. Orbene! Ho dovuto cambiare idea repentinamente. Mi sono messa di buona lena e usando come prototipo un vecchio cesso in soffitta oramai in pensione, ho provato ad immedesimarmi in lui, a contatto con vari sederini, più o meno famosi e ho partorito finalmente l’idea delle mutande. I vari studi, gli schizzi e i disegni mi hanno finalmente convinta a disegnare una linea tradizionale, seppure con qualche modifica. Nel modello classico per eccellenza chiamato cessoslip, adatto a quasi tutti i popò, viene utilizzato il water conosciuto in tutto l’universo. Si confà a tutti i culetti, lo si può trovare in ogni colore a parte il giallo canarino che allarga molto. Proseguiamo con la culotte*, modello contenitivo di mutande, dove vengono infilati due piccoli water uno per ogni natica s’intende, lasciando un’apertura centrale per i bisogni corporali. Essi vanno a ricoprire con la ceramica tutto il sedere, arrivando al di sotto delle cosce. Basterà sfilarli con cura, badando di non rompere la delicata intelaiatura e si riutilizzeranno una volta lavati. Passiamo ora ad un tipo molto sensuale e intrigante, ma di difficile realizzazione: il watertanga, adatto a donne con lato “c” e lato “f” da urlo. Lo propongo alle portatrici sane di sederini a mandolino, strumento musicale che potrebbe alla bisogna, soffiare arie di ogni tipo. Viene  cucito su misura, ricavandolo da un vecchia turca in disuso adagiandola sul pancino; come retro turca, la catenella dello sciacquone fungerà da sparti natiche. Se per caso pensiamo all’ultimo istante di non mostrare la nostra natura segreta, pigeremo un pulsante nascosto nell’ombelico. In questo modo il water tanga si allungherà fino al viso e la catenella diventerà un’inferriata a prova di ladro. Chi si troverà davanti a noi in quel momento crederà di essere arrivato nel carcere di Alcatraz. Se l’incauto maschio pensava con una tirata di catenella, di far scendere tutto l’impianto e dare così l’assalto alla diligenza, beh! si sbagliava di grosso! Ho pensato inoltre, a chi come me possiede un pandoro al posto del sedere, morbido e rotondo, con qualche buchino qua e là dove vi è inserita l’uvetta passa ed i canditi natalizi. Esso è dolce e soffice da mordicchiare nei momenti di malinconia più acuta e ho così inventato lo slip a padella. Naturalmente in questo caso può tornare utile la vecchia padella (non da cucina), che si usava negli ospedali del primo Novecento, quando le infermiere avevano in testa rigide cuffiette alte come la torre Eiffel e larghe come un sombrero messicano. Così vestite, sembravano cuoche provette, vere chef dei cessi. In effetti avevano una grazia innata nell’allungare le padelle all’ammalato, come fossero reliquie preziose, icone immacolate, dove al sol pensiero di sporcarle per pipì o altro, le suore potevano avere un moto di ribellione e togliere il velo, rinunciando per sempre ai voti. Quasi tutte venivano create in smalto bianco, rifinite con bordino blu in segno di decorazione al valore, ma se ne trovavano alcune in una specie di plastica rigida poi usata per le future borsette da collezione: la bachelite*, materiale antenato della plastica. Trattandosi di un materiale di resina totalmente sintetica, poteva sopportare contenuti ad alte temperature, essendo una resina fenolica che deriva da una reazione ad alta temperatura tra il fenolo (distillato dal catrame di carbone fossile) e la formaldeide che deriva dall’alcool metilico.* Per le sue proprietà di resistenza al calore, agli urti e agli agenti chimici, era come farla in una botte d’acciaio, non se ne perdeva nessun milligrammo! Se per purpo caso, si producevano gas o rumori mentre si lavorava sodo, essa era in grado di mimetizzarne gli acuti, insomma una padella di bachelite con il silenziatore. Guai se per caso se ne smarriva qualcuna! Erano tutte numerate e bisognava pagare l’obolo alla suora per sperare di avere “quella padella lì” e non la comune padella in smalto. Alcuni parenti, quelli in odore di eredità, facendo visita agli ammalati che stavano per tirare le cuoia, ne portavano a casa alcune, a comprova dell’avvenuto passaggio al capezzale della sofferenza. Chi non dimostrava di avere la padella o il pappagallo con il logo dell’ospedale, non era andato a far visita all’ammalato, di conseguenza riga nera di cancellatura sul testamento. No padella? No euro! A tale proposito, ritengo che ne abbiate senz’altro conservate qualcuna in soffitta, ben imbalsamate ed imbustate una ad una, in ricordo degli anni ruggenti. Essa è molto comoda, si adatta a contenere i pandori, i panettoni e le colombe. Non si sfila se stiamo sedute ed è dotata di manico per manovre di ogni genere; dovesse mai piovere, quando è ancora vuota e pulita la possiamo mettere in testa e servirà da simpatico ombrello di fortuna. Come dire? Da una pioggia all’altra! Nel manico ho voluto inserire qualche marcia meccanica come i veri slip da corsa dovrebbero avere. Corsa per che cosa? Ma la corsa all’oro naturalmente! L’oro contenuto nelle tasche di alcuni giovani e poco intraprendenti rampolli d’alto rango, che facendosi confondere le idee da questo intimo da suicidio, aprono i tesoretti e lasciano cadere gli ori all’interno delle padelle!  Semplicemente fantastico! Copre  ampiamente la schiena per non far prendere colpi d’aria, ma lascia maliziosamente intravedere l’ombelico, per via di quella sua mezza copertura. Arrivo all’ultimo modello, quello più sicuro ed igienico in assoluto: le mutandine usa e getta, quelle da ginecologo per intenderci. Quelle che usi se hai l’amante e le metti all’ultimo istante prima dell’incontro, quelle che ti devi sempre portare in borsetta  specialmente se soffri di colite stizzosa e necessiti (ma guarda un po’ questa parola “cessi” come ricorre in questo libro) di cambi repentini. Dovendone fare largo uso e gettandole dopo il primo, non ho potuto utilizzare dei water firmati o di porcellana fine tipo Richard Ginori, Rosenthal o Royal Copenaghen, nemmeno water in cristallo o in vetro resina, ma mi sono dovuta accontentare dei soliti vasini dei bambini. Quelli in plastica colorata, addobbati con l’eterna papera gialla per distrarre l’evacuante nel momento culminante. L’unica nota simpatica che, come mi è consono, vorrei mettere in ogni mia creazione, sono le decorazioni finali di queste mutande usa e getta. Ho fatto cucire fronte et retro la testa della solita papera, lo squalo l’ho applicato sulla natica, la giraffa dal lungo collo è sull’ombelico, il panda abbarbicato sull’albero del Monte di Venere (dove potrebbe stare se non su un albero?) e per finire una piccola campanella in opaline per avvertirci se qualcuno sta entrando. Non è che per caso ho esagerato, ed è un tantino complicata da infilare? Anonime, in plastica, fatte in serie, usa e getta mi sta bene; sterilizzate e

Tutti Frutti (1987 TV series)

Tutti Frutti (1987 TV series) (Photo credit: Wikipedia)

igieniche sì, ma senza un tocco di colore e movimento mai.

Tutti pazzi

Tutti pazzi (Photo credit: Wikipedia)

A presto per il proseguo……..



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