Una rappresentazione artistica di un pianeta e della sua luna illuminati dalla stella principale in un sistema solare lontano dal nostro. Crediti NASA.
di Umberto Genovese
Osservare i pianeti extrasolari è una cosa improba, quasi quanto contare le stelle visibili ad occhio nudo. Ma siamo sicuri che i pianeti siano soltanto in orbita alle stelle?
I sistemi planetari sono luoghi estremamente freddi che emettono pochissima radiazione elettromagnetica, per questo è difficilissimo trovarli.
Al contrario delle nubi interstellari in cui la massa è distribuita per tutto il loro volume e quindi è in grado di intercettare tutta la radiazione incidente e di riemetterla a caratteristiche lunghezze d’onda prevalentemente nel radio e nell’infrarosso, rendendosi di fatto ben visibili, nei sistemi planetari quasi tutta la massa è concentrata nella stella e, come nel caso del nostro sistema solare, solo lo 0,2% è distribuita tra i pianeti.
Anche se questa appare una percentuale molto piccola, appena 2 millesimi, moltiplicata però per quella della nostra Galassia si ottiene che la massa disponibile per i pianeti su cui ragionare è comunque davvero enorme.
Purtroppo fino a pochissimo tempo fa anche le stime teoriche più ottimistiche davano l’esistenza di pianeti extrasolari simili alla Terra poi non tanto scontata e spesso chi parlava di altri mondi veniva guardato con sufficienza.
Le prime scoperte riguardanti i pianeti extrasolari ci fecero conoscere una nuova e inaspettata famiglia di pianeti che fu subito battezzata “Gioviani Caldi“, ovvero pianeti giganteschi come e più di Giove le cui orbite – alcune di loro addirittura retrograde – erano più strette di quelle di Mercurio [1].
In un primo momento si pensò di rivedere completamente le nostre teorie sulla formazione e evoluzione planetaria, quelle prime scoperte sembravano mostrare la quasi eccezionalità del sistema solare, che con i suoi otto pianeti e le loro orbite regolari, sembravano più un eccezione che la regola comune.
Il cluster compatto di stelle blu è circondato dal “doppio nucleo” di M31. Il doppio nucleo è in realtà un anello ellittico di vecchie stelle rossastre in orbita intorno al buco nero, ma più distante rispetto alle stelle blu. Credit: NASA, ESA, and T. Lauer (National Optical Astronomy Observatory).
Invece il telescopio spaziale Kepler è riuscito a dimostrare che il nostro sistema solare non è poi così inusuale, ci sono altre stelle simili al Sole con sistemi planetari altrettanto simili, con pianeti di taglia grossomodo come la Terra e alcuni di questi pare che abbiano perfino l’orbita giusta perché l’acqua sulla loro superficie possa essere liquida [2].
Il metodo di indagine usato da Kepler è quello di registrare le deboli fluttuazioni di luminosità dovute al transito sul disco stellare di oggetti di taglia planetaria, ma è anche il suo grande limite perché è cieco verso tutti i sistemi planetari che non siano visti di taglio rispetto alla linea dell’osservatore.
I dati finora forniti dal telescopio spaziale però consentono intanto di stimare circa 10 miliardi di pianeti potenzialmente simili alla Terra solo nella Galassia [3] [4].
Studiando però la distribuzione della massa della galassia si intuisce che probabilmente nelle zone centrali la densità stellare è troppo elevata per far nascere dei pianeti in orbita stabile intorno ad una stella.
Magari la materia che è sfuggita alle passate genesi stellari potrebbe essere stata trascinata via dalle correnti gravitazionali intorno al nucleo centrale e soffiata via verso le regioni più esterne del disco dal poderoso vento stellare generato da milioni di soli prima che possa condensarsi in pianeti [5].
Un’altra zona in cui è altrettanto improbabile la formazione planetaria è l’alone galattico, un guscio grossomodo sferico che circonda molte galassie composto prevalentemente da stelle di Popolazione II, antiche stelle nate poco dopo il Big Bang e composte quasi unicamente da idrogeno al momento della loro nascita. Ora di quell’epoca di formazione stellare restano solo piccole stelle rosse che all’epoca in cui nacquero erano minuscole rispetto alle gigantesche stelle blu che avrebbero poi inseminato la galassia con gli elementi chimici pesanti necessari alla formazione successiva dei pianeti.
Probabilmente l’unica zona della galassia adatta a sostenere un sistema planetario stabile come il nostro è il disco, dove le nubi di polveri sono già contaminate dai metalli prodotti dalle nucleosintesi di precedenti generazioni di stelle e la densità stellare non è elevata come nel nucleo.
Inoltre, non è necessario che un pianeta sia legato a una stella, oggetti di taglia substellare con temperature inferiori ai 600 Kelvin probabilmente sono molto più numerosi di quello che si sia finora stimato, e recenti ricerche [6] hanno spinto alcuni ricercatori come Takahiro Sumi dell’Università di Osaka a ipotizzare che questi oggetti substellari non legati ad alcun sistema planetario raggiungano o superino in numero le stelle della Galassia.
Le loro origini non sono univoche: possono essere stelle mancate, oppure pianeti formatisi ai bordi del loro sistema solare dove l’attrazione gravitazionale della loro stella era quasi nulla e se ne sono scivolati via così, senza rumore; oppure possono essere stati scagliati via da orbite troppo caotiche e irregolari, frutto magari di qualche passaggio ravvicinato del loro sistema con un’altra stella.
Quindi di pianeti disponibili a supportare la Vita nella nostra Galassia possono essercene milioni, forse miliardi contando anche questi Pianeti Erranti.
L’unico e universale requisito che per ora conosciamo è che tutti questi pianeti posseggano una temperatura alla superficie compresa tra i 270 e i 350 Kelvin – anche se prodotta dal decadimento radioattivo interno, capaci quindi di sostenere acqua liquida.
È un peccato che siano troppo freddi per essere osservati dai nostri attuali migliori strumenti.
[1] In realtà un pianeta gioviano caldo sconvolge il baricentro del sistema molto di più di un normale sistema planetario come il nostro, rendendolo di fatto molto più facile ad essere rilevato.
[2] Come osservare gli oceani extrasolari, Il Poliedrico 22 luglio 2012.
[3] Questa stima moltiplicata per le circa 500 miliardi di altre galassie visibili indica quanto sia assurdo sostenere che il Sistema Solare fosse l’unico ad ospitare la Vita nell’intero Universo.
[4] Kepler osserva solo una piccola porzione del cielo in prossimità della costellazione del Cigno – circa 156000 stelle, non molte per la verità – ma abbastanza per tentare di estrapolare le sue stime al resto della Galassia.
[5] Queste correnti di polveri e gas sarebbero poi responsabili di periodici starbust a cui i nuclei galattici sono soggetti: milioni di anni di quiescenza intervallati da episodi di intensa formazione stellare, giovani e calde stelle blu che nascono nei pressi dei nuclei galattici, come recentemente è stato scoperto essere accaduto nei pressi del nucleo di M31.
[6] Unbound or distant planetary mass population detected by gravitational microlensing, ArXiv 18 maggio 2011: http://arxiv.org/abs/1105.3544
Pubblicato su Drake-Il Poliedrico: http://ilpoliedrico.altervista.org/drake/
Umberto