Come era cominciata, lo aveva raccontato qui. Come era proseguita, era ampiamente prevedibile (dal momento che lei, a differenza del Provveditorato, la normativa la conosce): con una inappuntabile dichiarazione di rinuncia per “legittimo impedimento”. Dichiarazione che era stata contro-firmata, tra una risata amara e una minaccia (“Però professoressa ‘povna, questa patente ora la prende, mi faccia una promessa!”) dalla preside Barbie, nonostante la segretaria del personale, Incompetente, le avesse profetizzato, al momento di ritirare la domanda:
“Ah, se fosse per me non gliela accetterei, professoressa”.
“Se fosse per lei, staremmo ancora a chiamare le supplenze di istituto contro ogni normativa e regola” – le aveva risposto soave la ‘povna (che, appunto, fornendo la medesima, l’anno passato ha scampato la scuola intera da un ricorso) – “e comunque, alas, non le compete”.
In calce alla rinuncia, la ‘povna aveva comunque scritto chiaro, in grassetto, la sua disponibilità a prendere un’altra sede, alla bisogna, purché “logisticamente praticabile”. Ma, se Barbie le aveva fatto sapere, in un a parte, che la pratica era andata a buon fine (come ovvio), dal Provveditorato, invece, tutto tace.
“Dovrà aspettare lunedì mattina, quando valutiamo le rinunce” – le avevano comunicato quando la ‘povna era tornata a informarsi, ostinatamente – “lei stia in casa, e stia pronta: se del caso, le telefoniamo”.
Ieri dunque la ‘povna si è svegliata come sempre alle 7. Ha guardato il cellulare, che giaceva muto accanto al letto. Ha visto che non c’erano chiamate, ha rimesso la suoneria, si è fatta il caffè, ha aspettato le 8.30. A quell’ora la sua (ex) commissione si doveva riunire, come tutte. E alla ‘povna, pensando a dove avrebbe voluto essere, è venuto un gran magone.
Si è messa a lavorare al computer, tirando a non pensarci. Ma il ritmo è da distrazione permanente: scrive due righe, stacca e – come nemmeno un’amante tradita in preda all’ansia – la mano e gli occhi sono di nuovo al cellulare.
Si va avanti così per tre ore abbondanti. L’unico a squillare, infine, è il suono del citofono: “Sono venuti a prendermi a casa!” – è il primo pensiero irrazionale della ‘povna. Ma non è così, ovviamente. E firmato e ritirato a mano ciò che deve ricevere, se ne torna mesta in casa ad aspettare.
Ma il display è muto; la suoneria è silenzio; il telefono piange*.
Stremata dall’attesa, all’una precisa la ‘povna si arrende, e prende atto. Nessuno la vuole, e questa maturità si farà senza di lei, questo giugno. E alla ‘povna, delusa, umiliata, tradita dall’amore mal riposto, non resta che fare ciò che ha fatto per tutto quello che non le è tornato in questo anno: rassegnarsi all’evidenza, e macinarci sopra le sue settanta vasche da nuotare.
*Credits: Simcek, per il titolo e la colonna sonora.