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Piazza Alimonda, 10 anni fa...

Creato il 20 luglio 2011 da Frufru @frufru_90
Non ricordo che cosa stessi facendo dieci anni fa, avevo appena finito gli esami di quinta elementare, perché c'erano ancora, e forse me ne stavo tranquillamente a giocare al “facciamo finta che” con qualche amichetta, perché a 10 anni eravamo ancora tutte bambine. Avevo 10 anni nel luglio del 2001 e di quello che accadeva a Genova non capivo niente. Mi ricordo solo che in tv c'era il fumo, ma ignoravo completamente che cosa stesse succedendo poco lontano da casa mia. È strano che non ricordi niente perché l'attentato alle Torri Gemelle, solo un paio di mesi dopo, ce l'ho stampato in testa invece. A 10 anni non sapevo proprio che cos'era il G8, che cos'erano i noglobal e i black bloc. La globalizzazione era solo una parola che ogni tanto avevo sentito pronunciare e nel mio mondo costruito sopra favole e favole a lieto fine i buoni combattevano i cattivi e alla fine poi vincevano. I buoni, nel mio immaginario di bambina, erano gli uomini in divisa probabilmente e probabilmente non sono stata lì a chiedermi che cosa avesse fatto di male quel ragazzo per morire in quel modo, probabilmente non ho nemmeno visto che la camionetta dei carabinieri, andando via, è passata sopra il suo corpo. Da quei giorni di luglio, di scontri e torture, sono passati 10 anni. Il carabiniere che ha sparato e ucciso quel ragazzo, che all'epoca aveva 23 anni, ha agito per legittima difesa, secondo quanto ha stabilito il giudice in udienza preliminare. Alcuni carabinieri e poliziotti sono stati condannati per le violenze sui manifestanti praticate nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz. Francesco Guccini, nell'album “Ritratti” del 2004, ha inserito una canzone dedicata proprio agli scontri di Genova in occasione del G8 del 2001. Eccola qui.

Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare respiro al largo, verso l'orizzonte. Genova, repubblicana di cuore, vento di sale, d'anima forte. Genova che si perde in centro nei labirintici vecchi carrugi, parole antiche e nuove sparate a colpi come da archibugi. Genova, quella giornata di luglio, d'un caldo torrido d'Africa nera. Sfera di sole a piombo, rombo di gente, tesa atmosfera. Nera o blu l'uniforme, precisi gli ordini, sudore e rabbia; facce e scudi da Opliti, l'odio di dentro come una scabbia. Ma poco più lontano, un pensionato ed un vecchio cane guardavano un aeroplano che lento andava macchiando il mare; una voce spezzava l'urlare estatico dei bambini. Panni distesi al sole, come una beffa, dentro ai giardini. Uscir di casa a vent'anni è quasi un obbligo, quasi un dovere, piacere d'incontri a grappoli, ideali identici, essere e avere, la grande folla chiama, canti e colori, grida ed avanza, sfida il sole implacabile, quasi incredibile passo di danza. Genova chiusa da sbarre, Genova soffre come in prigione, Genova marcata a vista attende un soffio di liberazione. Dentro gli uffici uomini freddi discutono la strategia e uomini caldi esplodono un colpo secco, morte e follia. Si rompe il tempo e l'attimo, per un istante, resta sospeso, appeso al buio e al niente, poi l'assurdo video ritorna acceso; marionette si muovono, cercando alibi per quelle vite dissipate e disperse nell'aspro odore della cordite. Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore, ma come quella vita giovane spenta, Genova muore. Per quanti giorni l'odio colpirà ancora a mani piene. Genova risponde al porto con l'urlo alto delle sirene. Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione, dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione, come ci fosse un modo, uno soltanto, per riportare una vita troncata, tutta una vita da immaginare. Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare, c'è traffico, mare e accento danzante e vicoli da camminare. La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l'onda. Ritorna come sempre, quasi normale, piazza Alimonda. La "salvia splendens" luccica, copre un'aiuola triangolare, viaggia il traffico solito scorrendo rapido e irregolare. Dal bar caffè e grappini, verde un'edicola vende la vita. Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita.
Francesco Guccini, da Ritratti (2004)

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