Mariaserena Peterlin per il Simplicissimus
Pierluigi appare, forse anche per il suo collaudato completo marrone, quello delle primarie, come uno stanco ospite alloggiato su una scomoda poltrona. Le domande a cui risponde sono sempre le solite, dunque noiose; e le sue risposte sono, forse anche per questo motivo, sempre più scontate. A latere non possiamo, infatti, non prender atto che i giornaliste e le giornaliste presenti in tivvù appaiono sempre più pensionanti, a quindicina, di un harem da cortometraggio piuttosto che gli arrembanti corsari dell’informazione di cui l’Italia avrebbe bisogno.
E non fa piacere dover ammettere che Pierluigi sorbisce le quiete domande, ma non appare all’altezza di questa pur mediocre campagna elettorale.
Ci si sente talmente a disagio da chiedersi se il PD non avrebbe fatto meglio, senza ascoltare l’enfant rottamatore de noantri Renzi, a riciclare la forse anziana ma energica Rosy, sanguigna e pia, ma almeno reattiva. Perché se questo passa il convento, almeno sia un convento accreditato…
Invece ci hanno proposto Pierluigi, talmente assorto nel suo meriggiare scialbo, da dimenticarsi di rispondere al cellulare ad Antonio Ingroia, l’uomo dalla faccia malinconica, che ha dichiarato, finalmente sorridendo di essere stato ignorato quando lo ha chiamato, reduce dal Guatemala.
La trasmissione scivola via inerte, invano il conduttore si agita come un mammifero da delfinario: nulla brilla, le perle bersaniane rotolano sul velluto acrilico, e si candidano ad un eventuale festival de la metafora nella lingua malcontenta:
“Quando governi son tutti figli tuoi”
“il sindacato è un pezzo di paesaggio”
“C’è un paese si chiama Italia”
“CGIL conservativa rispetto aspetti contrattuali”
“l’agenda è un’agenda, preferisco le lenzuolate”
“Il governo vuol bene a tutti, ma deve sapere dove vuole andare”+
“sono di sinistra”
“le formazioni intermedie possono invilupparti”
“nel caso bisogna che parliamo con Monti”
“chi è che compra lo spartineve?”
( da “Piccola antologia incommentabile”)