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Piccola editoria vs Print On Demand: cosa scegliere?

Da Ayameazuma

Prendo spunto da questo articolo di Morgan Palmas per porre una questione che mi gira in testa già da un po’.
Morgan Palmas ci dice che

il dato che emerge dalla più recente sintesi del Rapporto sullo stato dell’editoria in Italia è che a fronte di 10335 case editrici censite, soltanto 2600 circa hanno una presenza organizzata sul mercato e con almeno un titolo venduto. Sembrerebbe che quasi 8000 case editrici vivano nell’oblio

Conti alla mano, 2600 su 10335 significa solo il 25%.

E ancora, Morgan Palmas ci fa notare che

Nel 1990 le tirature medie di un libro si aggiravano sulle 7000 copie, nel 2000 erano 4910, nel 2007 ancora più giù: 3980. Una discesa continua. I libri pubblicati ogni anno aumentano, ma la tiratura media diminuisce.
Il dato medio di tiratura d’un libro per le grandi case editrici è poco più di 5000 copie. Quindi, piccola curiosità e presa di coscienza: quando sentite uno scrittore famoso bearsi del proprio talento, sappiate che il suo libro avrà probabilmente venduto poco più di 5000 copie, non decine di migliaia o centinaia di migliaia, i fortunati da best seller si contano in poche mani. Spesso il marketing è ingannevole in questi casi.

E in ultimo

le fusioni e le conquiste societarie sono sempre più la regola fra i tre grandi gruppi editoriali italiani: Mondadori, RCS MediaGroup, Mauri Spagnol. Quindi, potere economico uguale potere “politico” (sui canali di distribuzione ovviamente – inutile dire qui che se spesso nelle librerie vedete le case editrici note in bella vista un motivo c’è… e indovinate quale…) uguale maggiore diffusione dei propri libri uguale migliori investimenti.
Un gatto che si morde la coda? Sì. In questa situazione le piccole e medie case editrici – soprattutto le piccole – sono costrette a fare miracoli per non finire in rosso (che la cosa resti fra noi… sono quasi tutte in rosso, ma non diciamolo in giro che qualcuno è permaloso).

La conclusione a cui giunge Morgan Palmas è semplice:

Riprendiamo brevemente i seguenti dati.

1- Circa 8000 case editrici sembrano non attive. Sembrano.
2- I libri pubblicati ogni anno aumentano, ma la tiratura media diminuisce.
3- I grandi gruppi editoriali schiacciano il mercato assottigliando le fette della torta che si dividono la piccola e media editoria.

Secondo voi, tante piccole case editrici apparentemente non attive e altre invece attive che cosa potrebbero fare per rimpinguare le casse?
Bravissimi, avete indovinato: print on demand!

Dopo questo necessario preambolo, vorrei aprire una discussione con voi analizzando la situazione dal punto di vista dell’autore.
Di recente abbiamo esposto le nostre perplessità in merito alle scelte editoriali di molte delle piccole e medie case editrici indipendenti, tirandoci dietro una sequela interminabile di polemiche e insulti più o meno velati.
Probabilmente chi ci ha additati come ignoranti aveva ragione: partivamo da un presupposto sbagliato, ossia che una piccola casa editrice indipendente dovesse necessariamente puntare sulle vendite, e quindi sulla qualità dei propri testi, per sopravvivere.
Alla luce di quanto apprendiamo sul rapporto sempre più stretto tra POD e piccole case editrici, molte delle nostre perplessità potrebbero essere finalmente svelate.
Non è difficile infatti arrivare alla conclusione che tramite l’uso del POD i costi di una casa editrice siano notevolmente abbattuti.
Un editore che usufruisce del POD e non offre un contratto chiaro in termini di distribuzione e promozione (ATTENZIONE, non stiamo dicendo che i contratti siano tutti così, ma sicuramente ce ne sono) abbatte notevolmente i propri costi, potendosi permettere anche di vendere quelle cento/centoventi copie per ogni titolo rientrando abbondantemente delle spese e ottenendo un cospicuo guadagno.
Vengono infatti drasticamente eliminati i costi di distribuzione, perché l’editore farà arrivare le copie in libreria solo se e quando la libreria glieli ordinerà e vengono drasticamente ridotti i costi per la promozione, perché basterà avere una vetrina internet per far sì che il testo sia ordinabile e/o prenotabile.
Passiamo alla seconda riflessione, l’editing, croce e delizia. Quanti libri di piccole CE vengono sottoposti a un editing se non perfetto quanto meno accettabile? Pochi, troppo pochi per giustificare la perdita di guadagno di un autore che decide di affidarsi a una piccola CE piuttosto che autopubblicarsi.
I POD oltre a offrire impaginazione e stampa professionale, ormai offrono quasi tutti anche la possibilità di ottenere l’ISBN, alcuni fanno addirittura servizio di editing applicando una maggiorazione al prezzo di produzione.
E a questo punto mi viene spontanea una domanda.
Considerando che:
- la distribuzione delle piccole CE è scarsa quando non del tutto assente;
- il prezzo di copertina lo decide l’editore, mentre con il POD a decidere è l’autore;
- l’editing di una piccola CE è spesso insufficiente;
- la promozione di una piccola CE si limita agli annunci in rete;
- l’organizzazione delle presentazioni pubbliche con le piccole CE è lasciata quasi completamente nelle mani dell’autore, che spesso è costretto anche a comprarsi le copie per conto suo perché molti editori non le forniscono;
- pubblicando con una piccola CE l’autore ottiene il 10% sul prezzo di copertina (quando va bene) mentre affidandosi a un POD ottiene un guadagno pari al prezzo pieno di copertina;
- comprarsi uno spazio internet dove pubblicizzare il proprio libro costa in media 20 Euro all’anno e usufruire dei social network per la stessa operazione è totalmente gratuito e offre ampia visibilità

la domanda è: se Mondadori, RCS e compagnia bella ci ignorano, mandando in frantumi le nostre speranze di arrivare al grande pubblico, è meglio optare per una pubblicazione con una piccola CE o affidarsi direttamente a un POD?
A voi le risposte.


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