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Piccola impresa meridionale, ovvero perché Papaleo è meglio di Zalone

Creato il 27 novembre 2013 da Arpio

Una-piccola-impresa-meridionaleA volte anche il cinema italiano va un po’ rivalutato, anche quello comico, quello che fa storcere il naso a chi si guarda film tutti i giorni e a una certa dice basta ai cinepanettoni, ai film di Pieraccioni e ai film stupidi prodotti dai comici scadenti di Colorado Caffè. Basta alla comicità da due soldi, infarcita di volgarità, cliché e roba da italiano medio che neanche ai comizi elettorali. Sì, però, a quella comicità un po’ più intelligente, che ci permette di riflettere e che a volte è anche un po’ malinconica. Dopotutto la commedia in Italia è arte e finché la facevano i grande maestri andava tutto bene. La commedia all’italiana ha segnato picchi di vera leggenda. Pellicole che oltre a far sorridere, facevano riflettere, a volte con momenti di tristezza e malinconia che non te lo aspetti neanche. Nei giorni scorsi il bel Paese ha visto il trionfo nelle sale di Sole a Catinelle, terzo film di Checco Zalone (anche lui uscito da programmi comici), mentre è passato un po’ sottotraccia Piccola Impresa Meridionale secondo film di Rocco Papaleo, che anni fa ci aveva sorpresi con Basilicata Coast to Coast.

Perché mettere a confronto questi due film? Perché le tematiche e la provenienza sono simili, perché il genere è il medesimo e perché può darci una strada che ci guidi a capire cos’è il cinema comico e cos’è l’arte di fare soldi. Il Sud è al centro di tutti e due i film. Zalone in ogni suo film ripete a pappagallo lo stesso copione variando gli eventi: uomo del sud un po’ stupidotto e un po’ malizioso si confronta con gente del nord/ricca, creando situazioni imbarazzanti attraverso le quali la gente del nord/ricca verrà migliorata dall’uomo del sud. Potremmo scrivere qualche miliardo di film partendo da questo soggetto e state pur certi che Zalone lo farà. Dopo i millemila euro che gli sono entrati con Sole a Catinelle (nel quale peraltro recita un bambino che mi da il nervoso perché vistosamente finto) il nostro Zalone non potrà far altro che ritentare la fortunata impresa l’anno prossimo e per i prossimi 20 anni, finché non farà la fine di Aldo, Giovanni e Giacomo o dei vari “Natale a…”.
Dal canto suo, invece, Papaleo realizza una pellicola più intelligente, nella quale un gruppo di persone non troppo ben viste al sud (un prete spretato, un cornuto, due lesbiche e una prostituta) si ritrovano a condividere un vecchio faro. Durante l’arco del film il male assortito gruppo legherà anche con gli altri comprimari, realizzando (appunto) una piccola impresa meridionale. Il cambiamento, però, è circoscritto al piccolo gruppo e il film non abbraccia l’idea utopistica del “volemose bene”. Con un piccolo spoiler, infatti, diciamo che nel momento in cui il gruppo si confronta con la realtà normale del sud, questa gli volta le spalle e gli intima di vergognarsi. Fosse stato un film di quelli descritti sopra, ci sarebbero stati tarallucci e vino per tutti o un toccante discorso di Checco sull’accettare l’omosessualità altrui e una frotta di applausi per il suo guizzo di intelligenza. La realtà, però, è che non basta un discorsetto di Checco a far cambiare idea alla gente. Papaleo prende la strada giusta, dicendo che il cambiamento avviene solo in chi vive una particolare situazione dall’interno. Il cambiamento avviene in piccolo o comunque lentamente, non grazie a una chiacchierata in cui si maciulla la grammatica italiana tanto per far ridere.

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Nel mondo dei cinefili ammettere di aver visto Sole a Catinelle è come ammettere di aver votato Berlusconi: nessuno dice di averlo fatto eppure vince. Io lo dico apertamente che il film di Zalone l’ho visto (ma non ho votato Berlusconi, questo no), non ne ho scritto qui perché c’era poco da scrivere all’epoca. Solo dopo aver visto questo film di Papaleo, però, ci si rende conto che la comicità è tutt’altra cosa. Eppure Zalone spedisce nei cinema famiglie intere, gente che va al cinema una volta l’anno o anche meno, perché? Non lo so, non so rispondere a questa domanda. Forse gli italiani cercano un film che sanno già avrà un lieto fine dove tutti ridono e scherzano anche sui problemi psicologici della gente, o forse vent’anni di berlusconismo ci hanno abituati a barzellette che non fanno ridere e a gag dall’approssimativo peso sociologico.



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