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Piccola scena di vita quotidiana.

Da Suddegenere

Piccola scena di vita quotidiana.

da Val

Apro la posta e leggo una mail, decisamente inaspettata:

“”"Stamattina sono andata a fare un corso di formazione regionale (inglese!). Si è seduta al banco vicino al mio una collega che non vedevo da molto tempo.

Mi ha chiesto dei figli e alle mie risposte monosillabiche ha cominciato a parlare senza sosta, mentre io pensavo ai cavoli miei.

Ad un certo punto mi sono accorta di essermi di nuovo connessa con lei mentre mi diceva: “… e così, ieri ho bisticciato con mio marito perchè mi continua a dire che le figlie femmine non avrei mai dovuto mandarle a studiare fuori perché ora siamo soli!!! Ed in realtà ha ragione, le figlie femmine devono restare a casa”.

Io le ho detto: “”tu e tuo marito avete una gran bella testa di ca…volo“”

Non so se la prossima volta si metterà a sedere vicino a me!! Hai capito come funziona?? La nonna ha 82 anni e va bene, la mia collega ne ha 55 e va molto male!!!! Un Bacio Mum”"”

Ho capito fin troppo bene come (mal)funziona, e riesco ad immaginare perfino la “collega” indignata per i festini del premier mentre ha difficoltà ad esprimere il dovuto rispetto per le figlie femmine.

Me la immagino la  Mum,  schiena dritta, che fulmina con lo sguardo la sua interlocutrice…la adoro, e le dedico una poesia di Gioconda Belli che mi ha riportato alla memoria  Me-Dea

Dalla donna che sono,
mi succede, a volte,
di osservare, nelle altre, la donna che potevo essere;
donne garbate, laboriose, buone mogli,
esempio di virtù,
come mia madre
avrebbe voluto.
Non so perchè
tutta la vita
ho trascorso a
ribellarmi a loro.
Odio le loro minacce
sul mio corpo
la colpa che le loro vite
impeccabili,
per strano maleficio
mi ispirano;
mi ribello contro le loro buone azioni,
contro i pianti di nascosto
del marito,
del pudore della sua nudità
sotto la stirata e inamidata biancheria intima.
Queste donne,
tuttavia, mi guardano
dal fondo dei loro specchi;
alzano un dito accusatore
e, a volte, cedo al loro sguardo di biasimo
e vorrei guadagnarmi il consenso universale,
essere “la brava bambina”, essere la “donna decente”,
la Gioconda irreprensibile,
prendere dieci in condotta
dal partito, dallo Stato,
dagli amici,
dalla famiglia, dai figli
e da tutti gli esseri
che popolano abbondantemente
questo mondo.
In questa contraddizione inevitabile tra quel che doveva essere
e quel che è,
ho combattuto numerose
battaglie mortali,
battaglie a morsi, loro contro di me
- loro contro di me che sono me stessa -
con la psiche
dolorante,
scarmigliata,
trasgredendo progetti ancestrali, lacero le donne che vivono in me
che, fin dall’infanzia, mi guardano torvo
perchè non riesco nello stampo perfetto dei loro sogni,
perchè oso essere quella folle, inattendibile, tenera e vulnerabile
che si innamora come una triste puttana
di cause giuste,
di uomini belli
e di parole giocose
Perchè, adulta, ho osato vivere l’infanzia proibita
e ho fatto l’amore sulle scrivanie nelle ore d’ufficio,
ho rotto vincoli inviolabili
e ho osato godere
del corpo sano e sinuoso
di cui i geni di tutti i miei avi mi hanno dotata.
Non incolpo nessuno. Anzi li ringrazio dei doni.
Non mi pento di niente, come disse Edith Piaf:
ma nei pozzi scuri in cui sprofondo al mattino,
appena apro gli occhi,
sento le lacrime che premono,
nonostante la felicità che ho finalmente conquistato,
rompendo cappe e strati di roccia terziaria e quaternaria,
vedo le altre donne che sono in me,
sedute nel vestibolo
che mi guardano con occhi dolenti e mi sento in colpa per la mia felicità.
Assurde brave bambine mi circondano e danzano musiche infantili
contro di me;
contro questa donna fatta, piena,
la donna dal seno sodo
e i fianchi larghi,
che, per mia madre e contro di lei, mi piace essere.


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