L’acidità rancorosa è un sentimento da sfigati e non è fine mostrarla in pubblico ma, siccome io, sfigata, appunto, lo sono, lasciatemi inveire, che tanto la polemica e l’insulto attirano più del buonismo, dello stile, della pacatezza.
Continuo quindi l’analisi spietata del mio mancato successo letterario, esaminando il secondo motivo, quello che viene subito dopo la fobia sociale, della quale ho parlato nel post precedente.
La ragione numero due è che non mi abbasso a compromessi, non mi lascio recensire da oche giulive o da giovani inesperti.
(Posto queste mie note acidule - “velenose” le definisce M.- contando sul fatto che non mi leggete e che, per questo motivo, nessuno di voi si riconosce nelle mie parole o si sente da esse offeso.)
Mi tengo in disparte, mangio nel mio piatto, come ho fatto per tutta la vita, ballo da sola e la cosa non paga. Non sono popolare in certi gruppi di lettura che contano migliaia di iscritti ma basi culturali leggere come veli di garza, salottini dove si accumulano e si macinano libri più che competenze e dove, di ciò che si legge, ahimé, rimane ben poco.