Erano anni che cercavo di ricordare il titolo di questa canzone, ascoltata miliardi di volte nel mio primo inverno romano, nella amata casa labirintica, con il cancelletto e il capitello in sala, il pianoforte all'ingresso e i divani da signore da tè dell'ottocento. Lei, questa canzone c'era sempre, eredità del pianista che aveva appena lasciato la casa, ma che ogni tanto tornava a fare visita autoinvitandosi a pranzo e cucinando.
In un anonimo pomeriggio lavorativo, con vista sui palazzi claustrofobici dalle mille finestre che mi circondano, un'illuminazione improvvisa, inspiegabile. Le note sono quelle giuste, dicono tutto, qualunque parola sarebbe superflua, inopportuna.
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