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Piccole e grandi storie a Grosseto

Creato il 27 settembre 2013 da Giuseppe Martella @GiuseppeMartel1

Di seguito, il report che ho scritto in occasione del convegno “Le storie siamo noi”, 6-7 settembre 2013. Lo stesso report è presente sul sito dei Piccoli Maestri.

Gustav Doré

Gustav Doré

In due giorni, il sei e il sette settembre, a Grosseto si è svolta la quarta edizione del convegno Le storie siamo noi. E quel “noi”, questa volta, grazie all’interessamento di Simone Giusti e Federico Batini (e molte altre persone che sarebbe lunghissimo elencare) ha incluso anche i Piccoli maestri.

Da quattro appuntamenti, uno ogni due anni, a Le storie siamo noi si sono messi in testa di raccontare di fare quella cosa che, con una parola chissà perché estremamente abusata nell’ultimo anno, viene chiamata: narrazione.

Ci si accorge allora di essere stati inviati insieme a professionisti che con le storie cercano di aiutare e ricostruire una identità individuale, a ricercatori che cercano di costruire storie per rinsaldare tessuti sociali sempre sul punto di smagliarsi, a docenti che tentano di modulare un racconto della cronaca più recente attraverso le immagini, ad altri docenti che tirano fuori dal cappello un vecchissimo racconto di Pio II (prima che diventasse Pio II, quando si chiamava ancora Andrea Silvio Piccolomini) intitolato Storia di due amanti per cercare di dimostrare che attraverso la storia d’amore tra Eurialo e Lucrezio poco per volta, nei decenni successivi, nella narrativa italiana la figura femminile poco per volta iniziava a farsi strada, cercando un proprio spazio di autonomia.

Ma un piccolo maestro che ci fa lì in mezzo? Noi finora siamo andati nelle scuole, continueremo a farlo. Continueremo a incontrare bambini, adolescenti, ragazzi.

A Grosseto la mia presenza è servita per due ragioni. La prima: raccontare cosa accade durante un incontro con i ragazzi, spiegando poi le ragioni e il fine per cui è nata l’associazione, quali modelli ha avuto, in cosa si distingue da altre realtà di volontariato. E fini qui, tutto bene. La seconda ragione, poi: provare a fare un incontro vero e proprio, con persone adulte non con ragazzi (persone, per lo più, dedite all’insegnamento) leggendo delle favole di Esopo e parlandone. Un sentiero piuttosto minato.

E qui accade il bello, perché ancora una volta, come accaduto all’Aquila oltre un anno fa, pensavo di dover essere io a raccontare, e per fortuna ho soprattutto ascoltato e imparato.

Tra le altre favole, abbiamo letto quella del leone, della volpe e del cervo. In sintesi: il leone è ammalato, e chiede alla volpe di procurargli del cibo. La volpe cerca di mettersi in tasca il cervo, di portarlo alla tana per darlo in pasto al leone. Una posizione terzista, quella della volpe, dalla scomodità urticante. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, il leone riesce a nutrirsi del cervo, la volpe fa proprio il cuore del cervo e se lo mangia.

Il bello sta (è stato) nella reazione, nel modo in cui questi tre personaggi hanno risuonato nelle sensibilità di chi ha ascoltato.

Abbiamo provato a riscrivere la favola per capire cosa sarebbe accaduto, quali confronti sarebbero stati accostati, messi in reazione. Tra tutte le riscritture, tra le primissime credo, è saltata fuori quella di Miriam che, incredibile a dirsi, è riuscita a rendere interessante, non dico umana, la figura della volpe. Ecco la sua riscrittura:

In difesa della volpe

 Certo, è stata un’azione crudele. Sì, lo so, adesso più di prima la mia fama sarà quella di un essere spregiudicata e falsa, che trama alle spalle degli altri.

Se penso a come mi guardava quel povero cervo quando gli ho dato a bere che sarebbe diventato re! Persino dopo che era stato ferito sono riuscita a convincerlo, contro ogni aspettativa, e a riportarlo al Leone  servendoglielo come un pasto prelibato, una delizia in grado di guarirlo dal languore che da tempo lo affliggeva!

Mi sono anche mangiata il suo cuore. “Il cuore! – direte voi, tutti pronti a puntare il dito – Quello che a te manca, Volpe!”. Ma vi sbagliate: è proprio perché ho cuore che ho agito così: non sopportavo di vedere il Leone, ciò che di più caro ho al mondo, soffrire e deperire giorno dopo giorno.

Quindi, giudici, a voi il verdetto: fu Astuzia o Amore a scrivere la mia storia?

Già, fu astuzia o amore? A me, per ora, rimane l’impressione che fino a quando un piccolo maestro si sorprende degli incontri, la strada sia quella giusta.


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