Piccoli e dimenticati - Recensione - PC

Creato il 03 aprile 2015 da Intrattenimento

L'autore indie Connor Ullmann ci riprova facendo l'eco alla più famosa creazione di Miyazaki

Ormai possiamo affermare senza timidezza che è ufficialmente nato il genere Souls-like. Quando un gioco diventa inconsapevolmente modello spirituale per altri suoi futuri simili, qualcosa nell'intimo videoludico deve averla lasciata per forza ed è innegabile come Dark Souls sia stato una fonte di ispirazione per tanti. Il creatore di Oblitus si chiama Connor Ullmann, è americano, ha 22 anni e ha un gran talento nello sviluppo; inoltre è ambizioso e decisamente intenzionato a far parlare ancora di sé in futuro. Beh, la morale della favola è che nonostante la matrice a due dimensioni, Oblitus appartiene decisamente al genere dei Souls-like e Ullmann è un grandissimo fan della saga From Software. L'alchimia regala un titolo dagli innegabili difetti ma con un cuore e un coraggio che fanno valere la somma delle sue singole parti. Lo recensiamo oggi, a più di un mese dall'uscita su Steam, e il motivo è presto detto: il codice originario ha sofferto di gravi problemi all'uscita che ne hanno reso necessario un immenso lavoro di polishing post-lancio. Non nascondiamo un certo fastidio di fondo per l'ormai consueta moda di lanciare giochi non pronti ma Ullmann - onore al merito - è sempre stato presente nelle decine di thread aperti, rispondendo con umiltà e interesse. Dopotutto, è pur sempre il suo gioco.

twittalo! Arriva su Steam Oblitus, platform 2D con Dark Souls in mente: buone idee, ma altrettanti difetti

Lancia la lancia

La matrice ludica di Oblitus è piuttosto spartana: a un impianto a due dimensioni con livelli statici si fonde una parte roguelike importante. Non stiamo parlando unicamente di level design di sezioni specifiche: Ullmann ha scelto di gettare nel calderone della casualità anche i potenziamenti ottenibili nella sessione in corso, mescolando le carte in tavola per levarsi intelligentemente l'impiccio di tutto l'avanzamento tipico dei gioco di ruolo. Ad ogni tentativo l'entità dei collezionabili è quindi differente, aprendo le porte al palesato quanto ormai abusato concetto secondo cui ciascuna partita è diversa dalla precedente. Vero? Assolutamente si. Ma è una scelta apprezzabile? Francamente, solo in parte. Come nei Souls, è la morte il cuore pulsante di Oblitus, anche se Ullmann ha un approccio ancora una volta giustificato dai valori produttivi che, seppur alti, rientrano visibilmente nella sfera del mondo indie. In Oblitus, ogni volta che si muore si ricomincia da capo, senza potenziamenti né esperienza. Avete appena sconfitto uno dei boss delle quattro aree ma siete morti poco dopo? Tutto da rifare. L'idea alla base ha un suo retrogusto arcade che può affascinare, il problema è che Oblitus è arricchito da tanti piccoli difetti che rendono la morte qualcosa che non sempre dipende dal giocatore. Con il risultato che ad ogni sessione - anche quelle in cui realmente sono stati fatti errori - la frustrazione aumenta, facendo progressivamente decrescere la curva di interesse nel tentare nuovamente la sorte. Morire nello scoprire l'errore è il bello dei Souls; ciò che rende questo paradosso tale è l'abilità di From Software nel tessere con la competenza di chi il genere lo ha creato ogni angolo, nemico e pattern di attacco. È proprio l'abisso che separa l'ambizione dei progetti a fare di Oblitus un titolo che vorrebbe - e potrebbe - essere molto di più se solo si liberasse di certi tratti punitivi che lo bloccano a terra.

Ti ho preso?

Il titolo di Ullmann fa di una lancia la sua unica arma; potete colpire qua e là infilzando l'aria, oppure lanciarla, certi che come per magia entro pochi secondi sarà nuovamente in vostro possesso. Salto e capriola non possono mancare, ovviamente, così come una risposta ai comandi che è precisa e reattiva. Sulla carta Oblitus ha tutto quello che occorre per risplendere, il problema risiede nella gestione delle collisioni. I Souls hanno un pregio formidabile: utilizzare le tre dimensioni come strumento di studio di fotogrammi e poligoni per garantire che ogni combattimento sia il connubio ideale di tecnica e abilità nella lettura dei movimenti del nemico, nella speranza di fornire quindi tutti gli elementi per muoversi, valutare e colpire. Un approccio lento e talvolta macchinoso, ma onesto. Oblitus è più frenetico, nettamente più ammiccante verso i platform della vecchia scuola giapponese e quindi meno incline ai tecnicismi di pad che tanto servirebbero in un prodotto del genere. È il combattimento di prossimità il principale problema del gioco: non c'è chiarezza nelle collisioni né nei fotogrammi di movimento e di attacco del nemico. Il feedback è quindi poco galvanizzante e volutamente ingabbiato dall'unicità dell'arma e degli attacchi a disposizione. Mettiamoci inoltre il fatto che nella quasi totalità delle situazioni ciò che potete fare all'inizio potrete farlo alla fine, senza quindi un focus sull'imparare nuovi stili di gioco e lotta che più si confanno alle vostre esigenze. Il gioco fornisce uno scudo, in più ogni nemico ucciso garantisce un briciolo di recupero vitale, il fatto è che nemmeno ve ne accorgerete. Quando vi colpiranno invece ve ne renderete conto eccome, poiché Oblitus rimane un prodotto dal DNA difficile e impietoso. Oblitus - Trailer

Aprite le orecchie

Proprio per via della sua difficoltà, avremmo apprezzato una maggiore cura delle collisioni e degli scambi di fendenti. Calcolando che saranno i nemici standard ad arricchire la statistica delle morti, il terreno su cui si fonda Oblitus è più fragile del previsto. Veramente un peccato: riconoscendo le ovvie necessità di uno sviluppatore indie non ce la sentiamo di infilare il dito nella piaga più del dovuto, ma dove finisce la comprensione inizia il fastidio di vedere quella che con più fondi e staff poteva ambire a essere una vera e propria perla del panorama indipendente. Per rimanere in tema, spezziamo però una lancia a favore della scelta stilistica: il tratto grafico di Oblitus è piacevole e ispirato a livello artistico, aiutato da una scelta cromatica azzeccata. Ullmann doveva però porre maggior attenzione alla gestione delle parallassi: non sempre è infatti chiaro se l'elemento o la piattaforma su cui stiamo saltando sia effettivamente utilizzabile o se è invece parte dello sfondo e come tale inesistente nel concreto. Ripenserete a queste parola non tanto all'inizio, ma avanzando nell'avventura; il "trial&error" si estende quindi anche al mero level design, non sempre chiaro nell'offerta visiva e pertanto trappola nascosta e inaspettata. Pollice alto si merita invece il comparto sonoro: minimalista e farcito di bassi poderosi, il titolo aggrada l'udito con un misto di tracce ambient cupe e in linea con il clima di tensione onnipresente.

Requisiti di Sistema PC

  • Configurazione di Prova
  • La redazione usa il Personal Computer ASUS CG8250
  • Processore: Intel Core i7 860 a 2.8 GHz
  • Memoria: 8 GB di RAM
  • Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 980
  • Sistema operativo: Windows 7 a 64 bit
  • Requisiti Minimi
  • Processore Dual Core 2.7 GHz
  • 4 GB RAM
  • Scheda video integrata

Pro

  • Stile artistico
  • Aree curate e interessanti da esplorare
  • Può essere veramente molto lungo...

Contro

  • ...visto che a ogni morte si ricomincia da capo
  • A tratti molto frustrante
  • Level design talvolta mal proposto

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