Io ho sempre lavorato in aziende piccole se non piccolissime, dove non c’è bisogno di intervenire con attività di team building perché il team building lo si fa sul campo portando a termine i progetti entro le scadenze. Anni fa poi non c’era nemmeno il tempo, si sgobbava da mane a sera, spesso festivi compresi, la pausa pranzo era un panino davanti al pc, e ci si levigava l’un l’altro un modo da essere alla fine tutti pezzi complementari ancor prima di pensare al bene dell’azienda. Nel senso che se non ti adattavi ti sobbarcavi uno stress aggiuntivo allo stress della produzione, quindi o rimanevi facendo compromessi, o rimanevi con l’esaurimento nervoso, o te ne andavi, o ti licenziavano. Poi c’erano quelli che si plasmavano a seconda dell’ambiente con il sorriso sulle labbra e magari il naso un po’ sporco di polverina magica, che visti da qui alla fine erano anche i più fortunati. Tutte le attività collaterali erano business in meno, compresi i kick off e i week-end nei parchi avventura e la formazione sul nulla. Ci pensavo stamattina mentre ascoltavo di straforo una conversazione tra due colleghi, non miei ma colleghi tra di loro, lui col borsello Calvin Klein e lei con la schiscia in una borsa di tela di quelle che si stampano come gadget per eventi, che si scambiavano confidenze sul fine-settimana aziendale trascorso non so dove a discutere (senza mettere in discussione) di strategie aziendali. Perché probabilmente il bene individuale di queste grandi società che sono anche micro-società è il bene comune, quindi maggiori profitti e quindi il bene che diventa ancora meglio. Almeno in teoria. Io che non ho mai partecipato a queste iniziative pensate per favorire la coesione tra dipendenti e collaboratori sono piuttosto scettico, le differenze tra il capitale umano sono una risorsa e il tentativo di trovare un denominatore comune a tutti i costi è svilente per chi è sufficientemente intelligente da sapere come ci si comporta sul posto di lavoro. Semmai il problema è cercare persone che siano consapevoli di ciò anziché tirare a bordo il primo venuto e cercare di convincerlo che ci sono modi più efficaci dei suoi. Ma, in tempi di crisi, conferire consulenze su cose come la PNL è considerato un investimento, o almeno un modo per spartirsi le briciole. E, detto tra noi, con certi colleghi non ci condividerei nemmeno un mp3. Figurati il mio tempo libero.
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