Magazine Cultura
Mi sono aggirata attorno a questo libro, così come all'intero stand della Del Vecchio, dal primo all'ultimo giorno di Salone, quando finalmente l'ho abbrancato. Che io per le copertine Del Vecchio ho un'adorazione sperticata, sono rimasta un sacco di tempo a guardarmele tutte.E dunque, questo libro, finalmente prescelto. Parla di un contesto che per noi è abbastanza ignoto e che pure io, se non avessi dovuto leggerne per un esame l'anno scorso, non conoscerei affatto. C'era una volta l'imperialismo francese nei paesi dell'Africa del nord, come Marocco, Tunisia, Algeria, restituiti ai loro abitanti soltanto intorno agli anni '60. È poco prima di quegli anni che è ambientato questo libro, in Marocco, in un liceo di Casablanca, cui il piccolo e confuso protagonista è destinato grazie a una borsa di studio. Mehdi Khatib è l'unico marocchino in tutta la scuola, un collegio di altissimo livello frequentato soltanto dai figli dei francesi residenti in Marocco. E questo libro, narrato in terza persona ma talvolta punteggiato delle sue fantasie, racconta del suo spaesamento, sia culturale che umano. Perché Mehdi è uno di quei bambini che viene da definire “speciali” e non sai se in senso positivo o negativo. Probabilmente entrambi, a livelli diversi, in momenti diversi. Portatissimo per lo studio, soprattutto della matematica, ma claudicante nei rapporti sociali, anche quando si tratta soltanto di una chiacchierata tra compagni di stanza.È un libro che consiglio moltissimo, perché ogni tanto è bene trovarsi nei panni di Mehdi, e poi perché è divertente nel senso più spiazzante, e allo stesso tempo onesto.
Traslochi di Hebe Uhart – traduzione di Maria Nicola – Calabuig, 2015
Non sono mai riuscita a leggere narrativa latino americana. Ha a che fare col modo in cui vengono gestiti i legami tra il tempo e le storie, il racconto sudamericano vive di una concezione diversa di trama. La narrazione è fatta di un contesto fatto di luoghi e personaggi, in cui si accadono magari un sacco di cose, eppure non è sempre facile capire perché o volute da chi.Ecco, non è che questo racconto lungo/romanzo breve si discosti dal genere, da questo punto di vista. Eppure, per la prima volta, la cosa non mi ha infastidita, anzi. Sono riuscita a entrare nel racconto, anche se non sapevo sempre attraverso quali occhi stessi osservando lo scorrere della storia.Dunque, c'è questa famiglia che abita in Argentina, nei dintorni di Buenos Aires, a Moreno. C'è una donna che viene sempre chiamata “la madre”, cui corrisponde “il padre”, e vivono entrambi dei vecchi modi, di praticità, di abiti che vengono usati a lungo e dai quali si possono ricavare degli stracci. Hanno tre figli ormai adulti, il fermo e risoluto Domingo, grande lavoratore, impietoso giudice del mondo, un moderno tradizionalista. C'è il fratello più piccolo e più rilassato, Atilio, che gigioneggia con la propria vita. C'è la sorella Marìa, che la vita non la capisce proprio, ondeggia tra la sua mente e il mondo fisico. Poi Domingo si sposa con Teresa, una donna che è il suo riflesso in femminile. E ci sono altri personaggi, che girano intorno alla casa di Moreno e a questa strana famiglia che continua a muoversi nel tempo, a crescere, a spostarsi. E il romanzo breve/racconto lungo è qui, in questa strana famiglia e nei suoi legami. Nei piccoli gesti che cambiano col tempo, anche se il tempo si restringe e si dilata.So che non c'entra col libro in sé, però sono contenta di aver finalmente gradito un libro così argentino, perché mia madre è nata a Buenos Aires e, non so, mi dispiaceva che ci fosse un attrito letterario così forte tra me e il suo luogo di nascita. Tra l'altro, per la prima volta in tutti questi anni, ho finalmente trovato un personaggio col suo nome in un libro. Dopo decenni di ripetutissimi spelling, sono soddisfazioni.
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