La famiglia Fang di Kevin Wilson – traduzione di Silvia Castoldi – Fazi Editore, 2012
Tanto per cominciare mi è piaciuto un sacco. E so che non si inizia così una recensione, ma mi premeva di sottolinearlo stavolta. Non so perché.Anche questo, come Il bello della vita di Dan Rhodes, presenta riflessioni sull'arte contemporanea e su ciò che è effettivamente definibile 'arte'. E poi ci sono i legami familiari, fino a che punto l'arte intesa come scopo di vita deve infiltrarsi nella famiglia e nella vita dei bambini e... e beh, è interessante, oltre che bello.Vediamo, la trama. C'è questa famiglia Fang, formata dai genitori Caleb e Camilla e i due figli, Annie e Buster. O Bambina A e Bambino B, come vengono chiamati durante le loro performance e nell'ambito artistico. La missione di questa famiglia – o meglio, dei genitori – è creare il caos partendo dalla messa in scena di una situazione assurda e dagli esiti imprevedibili. Gli attori – a parte loro – sono coloro che assistono e reagiscono, del tutto inconsapevoli.Seconda pausa Gilmore Girls, che c'è un'altra puntata. Dannazione.Dicevo, la famiglia Fang è famosa per quello che fa e quello che fa implica la partecipazione di due bambini, pressati in personaggi caustici o maleducati, comunque sempre al centro dell'attenzione. Forzati a fingere. Prima l'una e poi l'altro si allontaneranno dai genitori per perseguire una forma d'arte personale, Annie diventando attrice e Buster scrivendo. La storia segue due filoni narrativi, quello del presente viene intervallato con capitoli sul passato, sulle performance che vedono Annie e Buster ancora bambini e poi sul loro allontanamento dei genitori.A un certo punto fratello e sorella si trovano a doversi rivolgere nuovamente ai genitori, a dover tornare da loro. Periodi di crisi in contemporanea. Però poi...Però leggetelo, perché è bellissimo. E perché i personaggi sono vivi e le riflessioni sull'arte... insomma, leggetelo.Exit di Alicia Gimenéz-Bartlett – traduzione di Maria Nicola – Sellerio Editore, 2012
Di solito non mi approccio mai ad un autore iniziando dal suo primo libro. Ho scelto Exit perché sapevo che la sua pubblicazione era recente e solo a lettura terminata ho scoperto che si tratta dell'opera prima della Gimenéz-Bartlett, la cui prima edizione spagnola risale al 1984. Effettivamente l'avevo trovata un poco acerba, anche se non in modo fastidioso. Più che altro arrivata a metà libro non riuscivo a capire se mi piacesse davvero. Ho fatto la prova, non leggendolo più per un giorno intero, iniziando Generazione A di Coupland e la sera mi sono trovata a chiedermi cosa succedesse ai personaggi di Exit. E allora l'ho ripreso in mano e finito in un paio di giorni.La trama è piuttosto semplice e non particolarmente originale, anche se non ho mai visto l'argomento trattato in questo modo. Berset, il dottor Eugenius e l'infermiera-psicologa Matea decidono di rendere una villa lussuosa una specie di... come dire, un'ultima spiaggia. Un luogo di ritrovo meraviglioso per persone che hanno deciso di uccidersi e preferiscono farlo in compagnia o di essere aiutati nel farlo. Da parte loro, i fondatori di Exit – che è il nome dell'organizzazione – si impegnano a rispettare totalmente le volontà degli aspiranti trapassati e ad assisterli nella messa in scena della loro morte. Si riuniscono sotto il loro tetto diversi personaggi, normali o strampalati, la cui caratterizzazione – e questo non ho ancora deciso se vederlo come pregio o come difetto – è portata all'estremo. Un ex-finanziere, una vedova allegrissima, due ragazze stupende, un ex-ferroviere, un irritantissimo poeta... insomma, si trovano a convivere per il tempo massimo di una stagione e possono decidere di morire in qualunque momento. Ma nel frattempo stringono legami che sembrano quasi posticci, inutili visto che dopotutto sono tutti destinati a scomparire.Ecco, mi è piaciuto. È scritto bene, la trama scorre dapprima un po' faticosamente per poi iniziare a correre dopo la prima dipartita. Alcuni dialoghi sono un po' esagerati e poco realistici, ma in un certo senso funzionano comunque, perché si addicono ai personaggi esasperati.Diciamo che il mio giudizio è prevalentemente positivo, ma non lo consiglio col consueto entusiasmo, ecco. Sicuramente vedrò di reperire altro della stessa autrice, visto che questo dopotutto è il suo esordio.