Facciamo un gioco, qui ora: prendiamo un pezzetto di gesso e tracciamo una linea bianca. Ora qui. Una linea ipotetica, bianca, da una parte mettiamo le cose belle, dall'altra le cose brutte. Da una parte mettiamo i bravi attori, i bravi registi, gli spettacoli belli. Dall'altra mettiamo gli attori cani, i registi (?), gli spettacoli brutti. O a voler essere buoni ridurre un lato alle cose decenti. Questo è solo un gioco, questa linea non esiste, bello e brutto sono confusi insieme in questo piccola e squallida periferia teatrale post moderna, sudicia e sembrerebbe sempre prossima al suicidio. Il brutto fa ombra al bello, il sudicio invade lo spazio del pulito, tutto appare scuro. Tracciamo una linea. Vorremmo tanto ma non ci è possibile, perciò ci limitiamo a giocare. Questo gioco però non lo abbiamo inventato noi, ma Davide Sacco, autore e regista di "Piccolo e squallido carillon metropolitano", spettacolo che già da qualche anno viene proposto in vari teatri italiani. Una linea, quella che i personaggi di questo spettacolo immaginano di tracciare per isolarsi dallo squallore, dal sudicio, dalle cose brutte. Esistenze periferiche di una periferia. Non è un modo per eliminare le cose brutte, ma tenerle più lontane possibile così che fanno meno male e ci si abitua. Ci si abitua a tutto, anche alle cose brutte; anche al cattivo teatro, se volete. Non vorremmo ma succede e allora in qualche modo una recensione diventa una linea, da una parte si scrive Sì dall'altra No. Anche se la classificazione non è mai così netta perché l'assoluto nell'arte raramente esiste.
Diciamo dunque sì a questa danza macabra e immobile, legnosa - come appunto può essere quella di un carillon - in cui roteano i personaggi; diciamo sì al coraggio con cui si sceglie di scavare in realtà scomode, di mettersi in gioco con il racconto di fetide esistenze, quelle che ci sono, esistono all'ombra di una massa gioiosa e luccicante. Lo sporco c'è e ci viene mostrato, con uno spettacolo d'impatto emotivo, prima ancora che visivo. Un sottopelle inesploso, perché anche il vomito viene meno, ci si abitua a tutto, anche allo schifo. Quel rifiuto lo senti però uscire dalla pancia, trattenuto: quella di Mimma (Orazio Cerino), il fratello ricchione, costretto a vivere la violenza degli sguardi ostili, a prendersi cura di una madre malata e della sorella a cui si cerca di dare una seconda possibilità di vita. Almeno a lei. Lo schifo lo vedi galleggiare nel pesce rosso che dorme da sei mesi, sei obbligato a crederci perché sono gli occhi una trent'enne bambina, Mimì (Eva Sabelli), che lo chiede. Suoi sono gli occhi che rendono guardabile l'inguardabile, con giochi infantili di una donna mai cresciuta, forse per vero ritardo o forse come consapevole allontanamento da una realtà che si rifiuta: a volte si può anche scegliere di non crescere. Una fuga, dunque. Come fuga è quella di fratello sconosciuto (Giovanni Merano), terza enigmatica figura di questo squallido quadro di solitudini familiari, forse la più meschina e vigliacca, fuggito da una realtà oscena per nascondersi in una realtà forse non tanto diversa. Perché cambiando luogo a volte si cambia a volte solo lo sfondo, ma orrore e solitudine restano. E niente cambia, niente si muove in questo squallido carillon, le cornici di partenza dei tre personaggi sono le stesse nelle quali ritornano alla fine, identici, perché forza e coraggio per cambiare non ci sono, perché in fondo ci si abitua a tutto, alle cose belle e alle cose brutte, anche a fuggire, sempre.Matteo Di Stefano
PICCOLO E SQUALLIDO CARILLON METROPOLITANOscritto e diretto da Davide Saccocon Eva Sabelli, Giovanni Merano e Orazio Cerinoscene Luigi Saccocostumi Silvia Tagliaferriluci Francesco Barbera
visto presso
FONTANONE ESTATE[email protected] - 06 5883226Fontanone del Gianicolo | Via Garibaldi, 30 - Roma