Pier Damiano Ori - Atti naturali

Da Ellisse

Pier Damiano Ori - Atti naturali - Carta Bianca, 2012

Certo ha ragione Alberto Bertoni quando scrive, a proposito di questo libro, di una medietas intesa in senso assolutamente positivo, del lavoro  morale di un moralista (e anche qui scansando ogni sfumatura negativa del termine). Lavoro di un uomo "comune" esercitato sulle cose e sugli uomini, a partire da un "io"  complessivamente impersonale, che duetta spesso con un "tu" altrettanto impersonale,  (penso per un etico appartarsi, per un proclamarsi uguale tra gli ugual, per destino). Di uomini e cose, potremmo titolare parafrasando Steinbeck. Uomini comuni o meno, da un ignoto cavernicolo che scopriamo essere fondamentalmente uguale a noi, fino a un personaggio storico come il conte Raimondo Montecuccoli, che nella sezione "Quaderni del gelo" funge da protagonista e pretesto per l'invenzione narrativa di una gelida giovinezza che forse è un modo per parlare di sé. Cose o oggetti (e la differenza, direbbe Remo Bodei, è sostanziale, e tutta affettiva), che non sono però totem o simboli, semmai sono anch'essi manifestazioni del poeta, quasi come una quarta persona singolare: una scarpa materializzazione di identità diverse, quasi un'agnizione, un cappotto alter ego, contenitore/forma che  è come una copia "interamente in superficie" dell'io, l'ombra, insieme un oggetto difficile da definire ed emblema delle cose che in fondo rimangono inconoscibili, e forse ci irridono nel momento stesso in cui ci danno da pensare. In breve, niente a mio avviso su cui poggiare una correlazione, spingere il registro verso richiami emozionali o lirici. Semmai - come accenna Bertoni - gli uomini e le cose sottolineano una disillusione, cinica o pietosa che sia, danno atto "in sé" di un dilemma, confermano uno sguardo preciso del poeta, mostrano anche, credo, una delusione rispetto alle misteriose interrelazioni tra noi e gli oggetti che abbiamo caricato di senso fin dalla preistoria, le cose, a pensarci bene,  non hanno più nemmeno lo status della "roba" di verghiana memoria. E perciò sotto certi aspetti i testi sono "nudi", evitano - per quanto "sapienzali", sempre secondo Bertoni - la sentenza, di essere apodittici, conclusivi. Richiamano anzi con un certo imperio alla rilettura immediata, non perché oscuri, ma al contrario perché variamente suggestivi. E dunque gli atti naturali del titolo credo non siano altro - per ossimoro - che la perdita di un diritto naturale, di uno ius, che questi testi tentano di registrare, ed insieme la consapevolezza che la vita  stessa è un intrico di eventi, oggetti o "minimi soprassalti individuali" (Bertoni) che ne costituiscono l'intima natura. Lo stesso corpo, la "cosa" in cui abitiamo noi e la nostra coscienza, diventa il limite invalicabile di questo diritto, quando si inceppa, quando scopriamo, somma delusione, che "è breve...è fragile, o forse anche forte ma preparato per la morte", come sperimenta l'Enrico protagonista della sezione "Giornate dell'uomo attento", alter ego ispirato all'autore dall'Henry dei "Dreams songs" dell'amato John Berryman (There sat down, once, a thing on Henry’s heart / só heavy, if he had a hundred years / & more...) Un libro interessante, dunque, di una scrittura matura e consapevole, un libro difficile da ridurre in brani, come invece si fa ingiustamente qui in un blog, e la cosa è per me un altro indice di qualità, di una struttura saldamente intrecciata, di un pensiero tutt'altro che debole o minimale. In effetti questo libro è una raccolta di serialità poetiche, che andrebbero perciò lette in un necessario ordine. Ma è' stato inevitabile tralasciare intere sezioni, perchè ogni estrapolazione di testi sarebbe stata pari ad una perdita di senso, come nel caso ad esempio  della citata sezione "Quaderni del gelo". Tuttavia non ho motivo di dubitare che la selezione qui pubblicata sia più che sufficiente a farsi un'idea dell'indubbio valore del libro. (g.c.)

Da Scuola di respiro

#

La cronaca è un albero che sgocciola

Un miliardo di liquido niente.

Mi bagno lì sotto, come fossi placido,

accolgo la pioggia vegetale

sapendo che è senza tempo, ma di breve

durata, nel mondo mortale.

Gli automobilisti in gita lo sanno

e non si fermano:

è più in là lo spettacolo cercato per

questo fine settimana,

La caccia continua.

Questa sera a casa piangeranno tutti.

#

Chi abitava qui? Un uomo?

Una scimmia, piuttosto.

Non vedi le bucce, lo sporco

Il disordine animale?

In questa grotta?

In tutte quelle qui intorno

Scimmie, scimmie dappertutto...

E andavano a letto? Si riunivano davanti

Al fuoco?... Racconti serali...

Carezze miagolii, un piccolo pianto...

Come tutti, come tutti.

Per millenni. Anche adesso.

#

Il cappotto,

quiete e avventura

mio

blu

panno

pesante

niente giorno

lunga sera.

Tutti i santi nelle tasche

così a lungo studiate.

Quel cappotto

il capotto è

la mia copia,

interamente in superficie

#

Tutti i sapori che ricordo

Non mi basteranno fino alla fine,

vedrai, che dovrò aggiungerne altri.

Ormai vecchio dovrò

masticare e inghiottire

e continuare a chiedermi

a interrogare le mie facoltà,

incurante (farò finta, naturalmente)

che siano disperse, tutte, nel giardino

che circonda il palazzo.

Davvero, ricorda quello che ti dico:

mi perderò in continuazione.

Userò il fischietto che usava

lo zio e andrò avanti fra i vialetti.

Crederò (farò finta, naturalmente)

che tutto questo sia continuare una dinastia,

Sarò piccolissimo, vedrai

Da Esortazioni

#

Ammetti che non sai

bene (davvero bene)

cosa è

   l'ombra

Ammetti che sai solo

darle il nome.

Ammetti che ci sono

cose che non sai

   Oggetti

che usi e non conosci

Poi

ammetti che il

   tatto

(molte molte volte)

è il solo modo

   che hai

come un animale

l'olfatto.

Da Eloquenze

(cercare)

Dov'è il mio poeta seriale?

quello a cui mi rivolgo tutte le sere

per sapere se il giorno ha avuto un esito?

Apro il libro e non lo trovo.

Lui è come una montagna o un lago,

sempre lì, ad aspettarti come un figlio o un padre

che ci sono se ci sono, punto e basta.

Possono tornare, ma anche no: soprattutto sanno andare.

E prima comparire senza essere chiamati.

Perché l'assenza è questa: che una volta (o cento o mille)

prima si è stati.

(trovare)

Ha tenuto la scarpa tra le mani,

quella sinistra.

Non per sua scelta, ma sfuggita al trasloco.

Era una sentinella, un guardiano senza ordini,

il fratello senza indirizzo,

la persona buona che mangia il gelato,

il congiunto in vacanza

mentre la casa è in fiamme.

(ricordare)

Di quello stabile dove aveva passato

l'infanzia, dentro i campi,

rimaneva tutto.

Solo che ora è città.

Irriconoscibile, se si vuole.

Se si guarda dall'alto,

la fila piccolo borghese

dei gerani ai balconi, è

la stessa.

Forse nessuno è morto.

Da Giornate dell’uomo attento (*)

#

Come accade ogni mattina la finestra interroga Enrico

   e lui si gratta i piedi.

Il corpo ha i suoi bisogni, e l'universo anche.

Dopo il sonno tutti e due reclamano Enrico

che a quel punto spera sempre che la porta sbatta

   o il cane abbai o la luce si spenga.

Siccome è esattamente un giorno come gli altri

   non succede niente.

Ogni oggetto è afono, ma non spento.

E mattino e ogni cosa

   pretende.

Puntuale. Senile. Reclama la corsa.

#

Vicino alla milza c'è il cuore,

un posto assurdo senza riparo

un cortocircuito senza energia.

Forse si è sbagliato, lo sta pensando.

Le mappe lo appagano, la mente

   non lo assiste.

E le mani sono sempre secche.

Quindi non sa.

Vorrebbe conoscere con gli occhi ma sono

   un organo distante.

In lui gli occhi sono una cosa, il ragionare

   un'altra.

Così pensa sempre all'ombra di qualcosa:

un albero, l'ombra stessa, il più delle volte

   un sorriso improvviso.

Pomeridiano.

#

Scendere nei sotterranei è una distrazione,

piccolo viaggio consentito, verso la holter,

passi accuditi

per applicarsi quell'oggetto ostile

che poi ostile non è perché è stato zitto

tutto il tempo.

Non più contatore, diventato scettro

per comandare al cuore, un meccanismo

per dialogare col muscolo-re

e dirgli finalmente cosa deve fare.

#

- Il corpo è breve - dice il chirurgo. Intende che è fragile, o forse

anche forte ma preparato per la morte. E se lui, il chirurgo, ci

può fare qualcosa sa che non è per sempre e magari nemmeno

per molto.

Corpo breve, appunto.

In sala operatoria, tendini, muscoli, vene sono un sistema aperto,

o forse ai suoi occhi di stremato esperto, neve.

Ecco, sì, neve; è più facile intervenire sulla neve. Cioè no; ma

sono i bambini a lavorare la neve, costruire con la neve.

In questo senso c'è speranza.

Rompere, saldare, estirpare, semplicemente togliere... spesso

buttare il tolto (prezioso tesoro quando pulsava oppure orrendo

macchinario nemico) in un bidoncino alla fine del letto:

pedalino per aprire il coperchio, piccolo cilindro di inox che

esorcizza ciò che non fa più bene.

Neve, neve, neve anche qui, anche lì. La guarigione è il suo

sciogliersi.

È bene svegliarsi? Enrico se lo chiede. Vuol dire che è sveglio?

Il chirurgo crede nella veglia. Quest'uomo che sana crede nella

morte. Non potrebbe essere altrimenti: la morte è l'agguato suo

complice. Attrezzo professionale.

Lui e Enrico adesso corrono al finale. Fra dieci minuti non si

conosceranno più . Enrico guarito, il chirurgo appiedato.

(*) l’Enrico di questo libro è l’Henry dei “Dreams songs” di John Berryman cinquantatre anni dopo, in un altro continente, dentro un altro scrittore. (un’eco, insomma). (n. d. A.)


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