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Pierfrancesco Favino: Arlecchino Mon Amour

Creato il 23 gennaio 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Giuseppe Floriano Bonanno 23 gennaio 2014 primo piano, teatro, vedere Nessun commento

Arlecchino, chi era costui? Abbiamo imparato a conoscerlo alle prime feste di Carnevale, ai tempi dell’asilo, ed è inutile dire che ai più, tra i tanti costumi, è stato subito quello più simpatico, quello che colpisce e fa divertire, forse per merito del vestito, tutto pezze colorate, e di quella mascherina nera che spaventa ed attrae al tempo stesso. Del suo carattere dalle mille sfaccettature, invece, siamo venuti a conoscenza un po’ più tardi, quando, magari proprio con la scuola, ci hanno accompagnato a vedere la prima commedia di Goldoni, e in quell’occasione abbiamo visto la maschera tanto amata trasformarsi in un personaggio in carne ed ossa, guascone, furbo, scansafatiche, perennemente affamato, l’incarnazione, perché no, dell’uomo-medio! Insomma, una figura complessa e per di più con una lunghissima tradizione alle spalle. Appare, dunque, davvero originale la scelta di Pierfrancesco Favino e Paolo Sassanelli di portare in scena, al Teatro Duse di Bologna, Servo per due, libera interpretazione del celebre Il servitore di due padroni di Carlo Goldoni, nell’adattamento del noto commediografo inglese Richard Bean (One Man, Two Guvnors), riadattato nella versione italiana.

Pierfrancesco Favino: Arlecchino Mon Amour

Negli anni ‘30 a Rimini, Pippo, moderno Arlecchino, ha appena perso il lavoro e si ritrova depresso, senza soldi e senza la possibilità di poter mangiare. Essendo ossessionato dal cibo è disperato, comincia a cercare un nuovo mestiere e dopo vari tentativi accetta di lavorare contemporaneamente alle dipendenze di due diversi padroni, trovando così il modo di raddoppiare il suo salario e i suoi pasti. Uno di questi è Rocco, piccolo malvivente del Nord, ora a Rimini per riscuotere una notevole somma, dopo aver concluso un affare con Bartolo, padre della sua fidanzata Clarice; l’altro è Lodovico, anch’egli noto malfattore. Essere al servizio di due padroni, significherà per Pippo avere anche un doppio carico di lavoro, dovrà ricordare quali ordini e da chi gli verranno impartiti. Dopo un po’ di tempo, frequentando le due case, Pippo scoprirà che in realtà Rocco, sotto mentite spoglie, non è altro che la sua sorella gemella: Rachele. Il vero Rocco, infatti, è stato ucciso dal fidanzato di Rachele, Lodovico (l’altro suo padrone). Destino vuole che questi, ricercato dalla polizia, sia nascosto a Rimini e stia aspettando di riunirsi a Rachele. Pippo, quindi, dovrà evitare che i suoi due padroni si incontrino, al fine di scongiurare che ognuno di loro capisca che sta lavorando anche per qualcun altro.

Pierfrancesco Favino: Arlecchino Mon Amour

Per tre ore, che scorrono via veloci e senza cali di ritmo e di tensione, accompagnata dalle calde note dell’orchestra Musica da Ripostiglio, che propone le più suggestive arie e canzoni degli anni ’30, la pièce si dipana secondo gli schemi classici della Commedia dell’Arte, ma attraverso una lettura più moderna ed originale. Nulla viene tralasciato per creare empatia tra attori e pubblico, tanto che in alcuni passaggi ti chiedi se i protagonisti stiano davvero recitando un copione o improvvisando, l’effetto risata, contagioso e continuativo, è dunque assicurato! La comicità sgorga spontanea dalle pose sempre particolari e dai monologhi di Pippo, un Favino davvero ispiratissimo, una vera scoperta e una piacevole sorpresa in un ruolo comico, ma anche da tutti gli stratagemmi tipici della commedia d’antan: attori che cadono dalle scale, porte che finiscono sul grugno del malcapitato di turno, battute à gogo, doppi sensi che piovono da ogni dove. Ma, l’elemento nuovo, quello che più colpisce e conquista, è il costante tentativo di interagire con l’auditorio nell’intento di coinvolgerlo facendolo ergere a coprotagonista esso stesso, con spettatori chiamati sul palco a “dare una mano” ai protagonisti e dialoghi serrati e divertenti con qualche astante in sala.

Pierfrancesco Favino: Arlecchino Mon Amour

Si ride, e tantissimo, di gusto e con leggerezza, senza mai scadere nel volgare, o anche solo nel banale o nel trito e ritrito. La compagnia di attori, allargata, è ben amalgamata, tutti sono ispirati e perfettamente nella parte, tanto da funzionare sia come singoli che come squadra. Una nota di merito va all’orchestra abile nel disegnare quelle atmosfere magiche che escono fuori direttamente dai racconti dei nostri genitori e nonni, espressione fedele di un’epoca, gli anni ’30 così fervidi di creatività ed innovazione in tutti i campi, ma che finirono per spirare nel dramma della Seconda guerra mondiale. L’entusiasmo finale e gli applausi a scena aperta durati quasi 10 minuti sono il tributo più spontaneo e sentito ad una performance davvero sopra le righe. Una serata dunque di quelle da rammentare, in cui il teatro, pur in un momento di crisi strutturale, dimostra ancora tutta la sua vitalità ed attualità, sintesi perfetta del progetto posto in essere da questa allegra brigata di attori, riuniti nel Gruppo Danny Rose, impresari di sé stessi, nel creare e portare in scena questo spettacolo. Il loro fine è proprio quello di avvicinare il pubblico allo spirito più autentico del teatro, la vita, in un contesto che consideri lo spettatore parte del processo creativo e recitativo, un teatro insomma “popolare” libero dalle logiche delle produzioni tradizionali ed aperto al nuovo, che poi affonda le sue solide radici nel solco della tradizione… Se ne avrete l’occasione consigliamo vivamente di non perdere assolutamente questo lavoro!

Fotografie di Fabio Lovino

Pierfrancesco Favino: Arlecchino Mon Amour


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