Ingegno astratto e difforme, lo definì il Vasari. E in effetti, la parabola artistica di Piero di Cosimo raggiunse esiti tra i più originali, nel panorama del Rinascimento che si avviava alla sua piena maturità. Nato a Firenze nel 1461 (secondo alcuni, l’anno successivo), entrò a bottega da Cosimo Rosselli, dal quale prese il nome. Col maestro, nel 1481 lavorò alle scene del Vecchio e Nuovo Testamento nella Cappella Sistina, fianco a fianco con artisti del calibro di Botticelli, Ghirlandaio, Perugino e Pinturicchio. Rientrato a Firenze nel 1483, vi restò per il resto della vita, lavorando su commissione di importanti famiglie fiorentine, come i Capponi, gli Strozzi, i Vespucci e i Del Pugliese.
La sua produzione artistica spaziò dalla pittura sacra, alla ritrattistica e alle storie antiche e mitologiche. Nei soggetti sacri, perlopiù variazioni sul tema della Madonna con Bambino, alla solenne ieraticità delle figure centrali, coniugò un ricco cromatismo e un gusto per il fantastico dei paesaggi. Nella ritrattistica, l’essenzialità delle figure va di pari passo con le evocazioni psicologiche e simboliche. Ma fu soprattutto nelle scene antiche e mitologiche che Piero ebbe modo di dar sfogo al suo estro fantastico e anticonformista, venando la fedele resa naturalistica di un senso onirico e malinconico per un paradiso irrimediabilmente perduto, discostandosi drasticamente dal mito dell’età dell’oro allora dominante.
Vasari lo descrisse come un solitario, immerso nella sua immaginazione, tutto proteso al servizio della sua arte. La capacità di mediare tra i fiamminghi e i maestri del secondo quattrocento, da Lippi a Signorelli, dal Ghirlandaio a Leonardo, unitamente alla sua fervidissima creatività ed elevata perizia tecnica, fanno di Piero un artista inconfondibile, mirabilmente sospeso tra primitivismo e Maniera, naturalismo e simbolismo.