" Piero canta! Cantaci qualcosa ". Correva il 1896 quando Piero Schiavazzi lasciò la sua Cagliari per prendere il mare alla volta di Pesaro, dove avrebbe frequentato il Liceo musicale Rossini diretto da Pietro Mascagni. Il giovane tenore non si fece pregare troppo dalla folla di amici, conoscenti ed estimatori che lo acclamava: cantò una romanza, con la sua bellissima voce che risuonava sul mare mentre il piroscafo si allontanava dalla città. Quel piroscafo ritornò anni dopo, nell'ottobre 1946, riportando da Napoli a Cagliari le spoglie di Schiavazzi, ormai diventato un tenore famoso in tutto il mondo e una star del cinema, ma senza aver mai dimenticato la sua città natale dove volle tornare a riposare.
Nel suo libro " Piero Schiavazzi: biografia di montaggio" (Ed. Iskra - 2014) Adriano Vargiu ricostruisce i tasselli della vicenda umana e artistica del grande tenore nato a Cagliari nel 1875 e morto a Roma nel 1946, secondo un aneddoto raccontato dal figlio Piero jr., mentre cantava con un filo di voce la sua ultima romanza.
Piero Schiavazzi: biografia di montaggio
Analizzando i documenti originali, le cronache dell'epoca, le testimonianza dirette di chi lo ha conosciuto e la sua autobiografia " Piero Schiavazzi ... racconta! ", Adriano Vargiu con grande rigore storico cerca di scrostare un po' di falsi miti e restituire verità alla figura dell'artista cagliaritano che secondo la leggenda metropolitana (falsa) morì dimenticato dai suoi ammiratori e costretto a fare l'elemosina.
Le cronache dell'epoca, tratte soprattutto da L'Unione Sarda e dal Quotidiano Sardo, raccontano invece di un artista che non fu mai dimenticato dai cagliaritani, che nel 1946 gremirono la piccola chiesa di San Francesco da Paola, in via Roma, il giorno dei suoi funerali. Tanto che il figlio scrisse all'allora sindaco di Cagliari, Pietro Leo, ringraziandolo per le onoranze funebri "veramente imponenti" tributate al padre.
Il Comune di Cagliari, d'altronde, ebbe un ruolo di primo piano nella sfolgorante carriera di Schiavazzi perché fu proprio lo storico sindaco Ottone Bacaredda a scrivere a Mascagni segnalando le sue doti canore e offrendo a Schiavazzi una borsa di studio per permettergli di frequentare il prestigioso liceo.
Nel libro di Adriano Vargiu rivive la Cagliari del primo Novecento vista dagli occhi del tenore che non fece mai mistero dell'amore per la sua città. E rivive lo spirito libero dell'artista Schiavazzi. Imprevedibile, gigione, picaresco, spaccone: termini che nello slang cagliaritano si possono tradurre con i coloriti epiteti di " scioreri" e " bragheri". E anche " oreri", perdigiorno. Amava oziare nel parterre del Caffè Genovese, ritrovo della Cagliari "bene". Ed era talmente istrione da chiedere ad un netturbino (in cagliaritano unu scovadori) di sedersi al suo tavolino e ordinare qualcosa mentre lui, tra l'ilarità generale, toltasi la giacca si metteva a scopare la piazza. D'altronde Piero Schiavazzi, anche se era diventato famoso, non aveva mai dimenticato le sue umili origini. Era nato povero ed era cresciuto nella miseria. Lo chiamavano canciofa e binu nieddu perché, nonostante l'abitudine alla bella vita e ai grand hotel, non riusciva a rinunciare ad una mangiata di carciofi crudi (quelli spinosi sardi) accompagnati da una buona dose di vino rosso.
La povertà lo costrinse da ragazzino a lavorare per aiutare il padre a mantenere la famiglia. E proprio mentre lavorava come manorba (aiutante) di un imbianchino in uno stabile di viale Bonaria per Schiavazzi passò la fortuna. Ovvero passò l'avvocato Giovanni Battista Dessì, "anima nobilissima di artista", che sentendolo cantare mentre dipingeva il muro gli chiese di scendere e lo volle far studiare alla scuola municipale di musica intitolata ad un altro grande tenore cagliaritano, Mario De Candia (di cui lo stesso Vargiu ha scritto un'altra bella biografia) .
Dall'incontro con quell'avvocato dalla barba fluente prese avvio la brillante anche se breve carriera che portò Schiavazzi a cantare sui palchi di tutto il mondo, diventando uno dei maggiori interpreti della cosiddetta "Giovane Scuola" e poi a frequentare con successo anche il grande schermo. Una delle particolarità del libro di Adriano Vargiu è infatti anche quella di ricostruire storicamente, grazie anche in questo caso a testimonianze, articoli di cronaca, fotografie e locandine originali, la carriera cinematografica di Piero Schiavazzi.
Scrive Adriano Vargiu nella quarta di copertina:
"Molti compositori grazie a lui si sono arricchiti, altri grazie alla sua generosità hanno avuto il loro momento di gloria. Cantò molta zavorra. Sregolato alza gonnelle, si fracassò la voce nel giro di una quindicina di anni. Su di lui si sono diffuse tante panzane, tante leggende. La gente crea panzane e leggende, perché crede alle panzane e alle leggende. Ieri vox populi, oggi anche internet.
Girate le scene, il film viene montato: raccolto il materiale (ricerca storica, inchiesta) il libro è stato montato. Un montaggio che spinge a penetrare e a riflettere nella sostanza dei documenti. Servirà a eliminare le panzane, le leggende e soprattutto gli inquinatori culturali? Non sempre la moneta buona scaccia quella cattiva".
Oggi Piero Schiavazzi, come nella vita ha desiderato, riposa a Cagliari. Nel cimitero storico di Bonaria dove il nipote, anche lui Piero Schiavazzi come il padre, ha fatto sistemare nel 1995 una lapide intitolata al nonno. Segno di un amore profondo per la città.
E nel libro "Piero Schiavazzi: biografia di montaggio", oltre a restituire verità sul tenore cagliaritano, Adriano Vargiu racconta con la sua consueta passione la nostra città. E dalla tolda di quel piroscafo che nel giro di cinquant'anni ha portato nella penisola i sogni e il talento di Piero Schiavazzi per poi riportarne la salma, si scorge in lontananza lo skyline di Cagliari. Di una città che forse non esiste più perché nel corso degli anni ha perso ormai la sua identità.
Dello stesso autore vedi anche Cagliari, a mussius e arrogus.