Pietà (Pieta)
Genere: Drammatico
Regia: Kim Ki-duk
Cast: Jo Min-soo, Lee Jung-Jin, Woo Ki-Hong, Eunjin Kang, Cho Jae-ryong
2012
min 104
Di Silvia Chierzi. Pietà è un film del 2012 diretto dal maestro Kim Ki-duk (La samaritana, Ferro 3 – La casa vuota, Amen), presentato alla 69ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia dove ha ottenuto il premio più ambito, il Leone d’Oro, con protagonisti Jo Min-soo (Venus talk) e Lee Jung-Jin (Mapado, 9 ends 2 out, Troubleshooter).
Il titolo si riferisce chiaramente alla Pietà di Michelangelo e racconta l’oscuro rapporto che lega un uomo brutale ad una donna di mezza età, che afferma di essere sua madre, mescolando simbolismo cristiano a contenuti altamente sessuali.
Corea, 2012. Gang-do è un orfano di 30 anni cresciuto nei quartieri periferici di Seul, è molto sadico e lavora per uno strozzino. Il suo compito è riscuotere il denaro dei clienti di quest’ultimo e se non saldano immediatamente il conto (come accade la maggior parte delle volte), l’uomo provoca loro gravi danni fisici.
Un giorno, Gang-do si accorge di essere seguito da una donna di mezza età, che scaccia sempre via offendendola. La donna confessa di essere sua madre e di averlo abbandonato appena nato perché non poteva occuparsi di lui. Gang-do è incerto sulla veridicità delle affermazioni della donna, ma, alla fine si convince che sia la verità.
Vediamo la vita di Gang-do cambiare, comincia a provare un leggero rimorso per i debitori che ha torturato e menomato. Gang-do chiede allo strozzino di licenziarlo in quanto non è più grado di svolgere i suoi doveri lavorativi al meglio. Comincia a temere per la sua incolumità e quella della madre, temendo vendetta dalle persone che ha reso invalide. L’uomo comincia una sorta di nuova vita assieme alla madre, passando molto del suo tempo in sua compagnia, ma più lui si avvicina, più sente sua madre distante. Il giorno del suo trentunesimo compleanno vede la madre cucire un maglione che scopre non essere per lui, ma per un uomo morto. La donna, infatti, si reca in magazzino abbandonato dove piange un cadavere chiuso dentro un vecchio frigorifero, a cui infila il maglione.
La trama del film è molto fitta e prende sviluppi inaspettati, vediamo numerose scene di sesso tra Gang-do e la madre, scene di ricatti, falsi rapimenti e vergogna. Gli avvenimenti s’intrecciano ai sentimenti dei protagonisti per tutta la durata del film portando ad un finale tragico e drammatico che costringerà Gang-do a farsi ulteriori domande sulla sua vita.
Gang-do crede che la sua vita non abbia più un senso e decide di lasciare il mondo terreno con un gesto nobile. Vuole dare la pace alla moglie di un uomo a cui ha staccato un braccio, dopo un mancato pagamento. La moglie gridò molte volte di voler investire Gang-do per mettere fine alle sofferenze provocate da lui stesso e decide di accontentarla. Una mattina si lega con dei ganci sotto il furgone della donna, facendosi trascinare per la strada, provocando così una morte lenta e crudele. Kim Ki-duk ci regala un finale efficace e controverso reso ancora più forte dalle immagini crude che accompagnano tutto il film.
Il diciottesimo lavoro di Kim Ki-duk è epico. Un capolavoro. Durante tutto il lungometraggio vediamo mescolarsi i sentimenti più contrastanti, vendetta, amore, odio, solitudine, disperazione, sentimento, dolore, tragedia e via dicendo. Il film sfrutta le diverse sfaccettature dell’animo umano e fa capire allo spettatore di andare oltre, di guardare più a fondo. La trama è molto contorta e riporta alle tragedie greche, sfrutta l’abilità degli attori nel donare le giuste sfaccettature ai loro personaggi rendendoli unici nel loro genere. La continua sovrapposizione d’emozioni parallele è svolta eccellentemente e si ha una chiara visione della morale che il film ci offre. Kim Ki-duk cresce notevolmente di film in film, migliora in maniera impressionante e ci regala dei capolavori che segnano, che esprimono un occhio di riguardo sull’animo umano. Questo film è rivoluzionario, esagerato ma dannatamente vero e punitivo, Ki-duk ha lavorato molto per l’umanità che ha dato questo film. Il suo film più “umano” dunque, che ha smosso molti apprezzamenti ma anche molte critiche sull’utilizzo (forse eccessivo) della crudeltà.
Pietà è un film che colpisce, Ki-duk dosa la giusta dose di violenza e d’amore e la crudeltà che rappresenta è necessaria per sviluppare le grandi incognite esistenziali che il film racconta. Degno del Leone d’Oro che rileva la bellezza e l’esigenza di premiare qualcosa di diverso, di arricchire lo spettatore, di aiutarlo a comprendere la natura e lo scopo di questo lungometraggio.
★★★★★