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«C’è un uomo nella bassa sui settant’anni che si chiama Pietro Ghizzardi ed è un grande uomo. Ma da parecchio prima che cominciasse a dipingere e a far parte della trinità padana dei naïfs, Ligabue, Rovesti e lui. La pittura non c’entra con il tipo di grandezza cui mi riferisco, essendo grande perché ha sofferto grandemente, perché è stato umiliato grandemente, e nelle pagine di questo libro con qualche accento profetico domanda: “Fino a quando continuerete a fare questo?». Così scriveva Cesare Zavattini, nella prefazione al libro, Mi richordo anchora, l’autobiografia scritta da Pietro Ghizzardi, pubblicata da Einaudi nel 1977. Volume col quale Ghizzardi vinse il prestigioso Premio letterario Viareggio.
Nato a Viadana nel 1906, di origini umilissime, Ghizzardi ha portato fin da subito nella sua pittura, l’impronta segnata dalla vita dura del contadino. Dipingere era per lui un modo per godersi la vita, di ritrarre le cose che vedeva e che lo commuovevano. Il giovane pittore provvedeva perfino a distillare le erbe, come i monaci medioevali, per farne dei colori e questo basterebbe a farcelo simpatico: un giovane fuori dalla mediocrità, fin dal principio.
Il primo riconoscimento per le sue opere Ghizzardi lo riceve solo nel 1961, con la prima importante mostra d’arte “Città di Guastalla”. Nel 1968 espone alla mostra nazionale dei Naifs, nella “Città di Luzzara”, dove riceve la medaglia d’oro del Presidente della Repubblica. Ma il successo pieno arriva nel 1977, quando vince il “Premio letterario Viareggio” con l’autobiografia Mi richordo anchora, con note di Cesare Zavattini.
Le sue figure femminili, i volti di donne, i corpi seminudi, a volte pornografici, sono le icone della sua pittura, quelle celebri e quelle semplicemente incontrate, considerate una chiave di lettura primaria per scoprire il suo mondo pittorico ed umano, fatto di passioni travolgenti e di inquietudini della mente. Le sue figure di donne con le mammelle esposte e le gambe scosciate, rimangono come fantasmi suggeriti da un istinto che si esprime in puri termini di fantasia.
Il colore in Ghizzardi è spesso assente. Sostituito da tinte nere, caliginose. Il pittore si affida specialmente al contorno nero che delinea la figura, rendendola parte di un mondo assente, irreale, quasi fumettistico. In Ghizzardi esiste il sentimento dell’Art Brut, che manifesta il sentimento primario delle sue emozioni. Egli è il pittore contadino per eccellenza, sicuramente emarginato, come lo era stato un altro suo celebre pittore padano, come Antonio Ligabue.
Proprio il Centro Studi Antonio Ligabue, di Parma, presieduto dall’editore Augusto Agosta Tota, ha in programma l’edizione di una monografia completa e oroginale, di tutte le opere esistenti di Pietro Ghizzardi, in collaborazione con la Casa Museo Pietro Ghizzardi di Boretto, che detiene i diritti dell’artista.
La prestigiosa pubblicazione, ancora in fase di progetto, verrà curata da Marzio Dall’Acqua e da Vittorio Sgarbi, che è stato fin dall’inizio uno dei più importanti sostenitori e promotori dell’opera dell’artista padano.
Fonte
http://www.pietroghizzardi.it/
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