Da allora, attraverso centinaia di convegni, dibattiti, confronti pubblici e privati, ha allargato notevolmente la propria base di consenso, come è dimostrato dalla mozione bi-partisan, primo firmatario Francesco Rutelli, che il 10 novembre scorso il Senato ha approvato con 255 voti favorevoli e soltanto 24 contrari o astenuti, alla presenza del ministro del Lavoro Sacconi. Quella mozione, motivata dalla necessità di stimolare la ripresa della crescita economica del Paese, impegna il Governo a varare un testo unificato delle norme sul lavoro modellato proprio sul disegno di legge n. 1873. Che non si sia trattato di un episodio casuale e politicamente poco significativo è dimostrato dal fatto che, due mesi dopo l’approvazione di quella mozione, a Palazzo Madama alcuni senatori della Lega hanno manifestato esplicitamente il proprio favore al progetto, e alla Camera alcuni deputati di Futuro e Libertà capeggiati da Benedetto Della Vedova ed Enzo Raisi hanno lanciato l’iniziativa di un progetto di legge di iniziativa popolare per una riforma del diritto del lavoro ispirata esplicitamente all’impianto di quello stesso disegno di legge. Poco dopo hanno fatto proprio pubblicamente quel progetto, con un intervento sul Corriere dell’8 aprile scorso, anche Luca Cordero di Montezemolo e Nicola Rossi. E la “macchia d’olio” è andata allargandosi anche in seno al centrosinistra, se è vero che hanno espresso consenso a quel progetto non soltanto i leader delle due minoranze interne al Pd, Walter Veltroni, e Ignazio Marino, ma anche alcuni esponenti della maggioranza, come Enrico Letta e Massimo D’Alema, e ultimamente il “vecchio saggio” Giuliano Amato.
Il risultato del lavoro della talpa, dunque, si vede eccome, in tutto l’arco delle forze politiche. Proprio in questi giorni, poi, si è verificato anche l’evento eccezionale, quello capace di determinare una accelerazione delle scelte di governo in direzione del superamento del tabù. Secondo l’anticipazione del Corriere di lunedì, la Banca Centrale Europea, per bocca del suo Governatore uscente Jean-Claude Trichet e di quello entrante Mario Draghi, in via per ora ufficiosa, ci indica tra le condizioni necessarie per il suo intervento a sostegno del sistema Italia una profonda riforma del nostro diritto del lavoro. E non sfuggirà al ministro Sacconi che la BCE non ci chiede soltanto una riforma che porti “meno rigidità nelle norme sui licenziamenti nei contratti a tempo indeterminato”, ma anche un “superamento del modello attuale imperniato sull’estrema flessibilità dei giovani e precari e sulla totale protezione degli altri”. Dunque, il discorso non riguarda soltanto l’articolo 18 e non è affatto a senso unico: è un discorso assai più impegnativo, che va esattamente nella direzione del “codice del lavoro semplificato” proposto con il d.d.l. 1873.
Perché dunque, visto che quel progetto è maturo non soltanto sul piano tecnico-legislativo ma anche su quello politico, non partire da lì per elaborare la risposta che la BCE ci chiede con urgenza?