La nuova amica Sandra , pur commossa dalla mia vena lirica e dalla figura nobile del cervo dalle grandi corna, il cui bramito nelle notti di novembre, riempie la valle, non è rimasta immune dallo sghignazzo del finale gastroculinario a cui in fondo tendevo, senza offesa agli animalisti naturalmente (dai Mariù, in fondo sai che sono un buono, è che mi disegnano così, goloso). Il fatto è che il civét di cervo è proprio buono, se poi i cari amici hanno saputo accompagnarlo con una portentosa polenta di pignoletto rosso del Canavese, (da non confondere con l'omonimo vitigno emiliano), macinato a pietra in un mulino del ‘700 (forse l’epoca del mulino non è essenziale, ma come è ben noto, una parte fondamentale dello scatenamento delle endorfine è dovuto alla convinzione di godere di una cosa di assoluta unicità o di qualità superiore, purché te lo dica qualcuno in cui tu hai fiducia, come prevede il ben noto effetto placebo; è stata dimostrata persino l’efficacia della preghiera nell’accelerare le guarigioni, dunque… va bene anche il mulino settecentesco), non ci sono discussioni, ne trae giovamento il corpo e lo spirito.
Perché torno sull’argomento? Secondo una tradizione piemontese, l’ospite amico particolarmente benvoluto, quando partecipa ad una imbandigione particolarmente ricca e festosa, se ne torna a casa con il cosiddetto vulpìn (volpino), una sorta di fardelletto costituito da un qualche tipo di contenitore ricolmo di una parte del ben di dio avanzato, in modo che nei giorni successivi rimembri ancora il godimento provato e rivolga pensieri riconoscenti alla compagnia lasciata.
Così, io, caricato di una congrua quantità di deliziosi bocconcini dell’animale in questione e di adeguata porzione di polenta, ho potuto oggi goderne appieno e si sa che il civét riscaldato è ancor più buono. Quanto alla polenta opportunamente affettata e passata in padella con un velo d’olio, ha potuto assumere quella deliziosa croccantezza che ne ha reso la dorata superficie ancor più appetitosa. Gloria dunque agli amici L. e C. ed altrettanta al nobile animale. Quanto al pignoletto rosso, benedetto chi lo ha conservato e per fortuna prodotto senza pretensioni biologiche varie. Ah, se una ricerca oculata potesse realizzarne un OGM con una produttività che lo rendesse proponibile per una coltivazione redditizia! Lo spirito del grande cervo gliene sarebbe riconoscente, e anche io, naturalmente.