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Pigri da un occhio

Creato il 27 febbraio 2016 da Gadilu

fuocoammare

Con una certa mia sorpresa, segno che la vittoria dell’Orso d’oro è un buon veicolo pubblicitario, il Film Club di Bolzano era pieno, oggi pomeriggio, per la proiezione dell’ultimo film di Gianfranco Rosi: Fucoammare.

Il regista continua dunque a stendere con successo il proprio linguaggio peculiare, già apprezzato con il precedente Sacro Gra, mescolando tecnica documentaristica e narrazione. Anche in questo caso la “trama” è disegnata infatti sull’ossatura di alcuni ritratti, personaggi che bucano la propria sorte individuale assurgendo alla statura di emblemi. Nel Sacro Gra era il botanico che constatava il lavoro distruttivo delle termiti sulle palme in disfacimento intorno al centro di Roma; qui un medico di frontiera alle prese con il salvataggio di migliaia di migranti giunti in condizioni disperate sulle coste di Lampedusa.

Il vero protagonista di Fuocoammare è però un bambino, Samuele, che seguiamo nelle sue scorribande alla ricerca di uccelli da colpire con la fionda o nel tentativo di dominare il mal di mare. Samuele ha un “occhio pigro” (questa la diagnosi del medico già nominato, il quale evidentemente non si prende solo cura dei migranti, ma di chiunque, sull’isola, ne abbia bisogno). Significa che il suo cervello non percepisce il mondo con entrambi gli occhi e si limita a sfruttare le possibilità di un apparato visivo dimezzato. La metafora (posto che sia una metafora) è chiara. Anche i lampedusani percepiscono la realtà in cui sono immersi “a metà”. Della tragedia che si sta compiendo intorno a loro, a pochissima distanza, loro si accorgono perlopiù dai notiziari radiofonici, ribaditi da emittenti che continuano a fare come nulla fosse, mentre si programmano canzoni provviste di dedica (e una di queste è anche quella che dà il titolo al film). Pur senza essere esplicitamente condannata, la società ritratta continua così a svolgere la propria vita tenendo a distanza l’orrore delle innumerevoli morti, delle condizioni disumane con le quali i migranti cercano di fuggire dai loro paesi martoriati. Accadesse il contrario, si può intuire, la vita di ogni giorno non sarebbe neppure più possibile, non sarebbe tollerabile. (A parziale smentita di questa mia interpretazione, le parole dello stesso regista, che “collega” l’occhio cieco e quello vedente, anche se lui non mette in evidenza questo particolare, mediante il senso di apprensione, somatizzato da una difficoltà a respirare, in una pressione al cuore, denunciata da Samuele al medico in una scena davvero straordinaria).

Ma alla visione dell’intollerabile si accede per l’appunto riaprendo l’occhio atrofizzato della conoscenza. Rosi ha filmato i cadaveri rinvenuti nelle stive delle barche soccorse in alto mare, è salito con la cinepresa sulle scialuppe piene di uomini quasi completamente disidratati, tremanti, strappati letteralmente alla morte in virtù del caso (se l’avvistamento delle loro imbarcazioni fosse avvenuto mezz’ora più tardi, se le condizioni del mare non l’avessero consentito, non ci sarebbe stata alcuna speranza).

Con grande sobrietà e con un linguaggio asciutto, ossia asciugato da ogni tentazione retorica, Fuocoammare mostra sia ciò che “è”, sia il meccanismo di rimozione mediante il quale stiamo coprendo, ormai da anni, una delle più grandi tragedie della nostra storia recente. Un film necessario, che dovrebbe essere visto soprattutto da tutti quelli che, in modo vergognoso, parlano a vanvera di “respingimenti” senza sapere di cosa, e soprattutto di chi, stanno parlando.


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