Magazine Cultura
In questi quarant’anni sono tanti i libri che hanno meritato e meritano uno spazio dedicato sullo scaffale. Iniziamo da un libro longevo, scritto e illustrato da Grete Meuche negli anni ’30. La ristampa ci riporta la copertina dell’edizione del 1974 quando la casa editrice si chiamava La Editoriale Libraria e in frontespizio dichiarava la collocazione geografica: Trieste. La Trieste mitteleuropea, la Trieste capace di fondere risorse che arrivavano da un’eredità di culture e lingue, la Trieste che ha visto crescere l’esperienza El, diventata nel tempo El, Einaudi Ragazzi, Emme, importantissimo gruppo editoriale italiano che ha raccolto anime diverse e le ha rilanciate in un catalogo che è insieme storia e presente. La storia di Pik Badaluk riprende la copertina bianca (ne abbiamo una copia preziosa nella sede dell’Accademia Drosselmeier, tenuta insieme con lo scotch, usurata dal molto sfogliare), con al centro il volto ridente di Pik e le mele dell’albero che lo salva dall’attacco del leone. Nella nuova veste cambiano i caratteri del titolo e sparisce il logo. In quarta un piccolo testo ci ricorda che siamo di fronte ad un classico, ce lo ribadisce Livio Sossi nella prefazione: un classico che ha accompagnato generazioni di bambini che hanno seguito trepidanti le vicende del piccolo moro, un classico amato dalle insegnanti che, nei periodi in cui il libro non era disponibile, avevano plastificato le pagine e rinforzato la costa per consentirgli una vita più lunga, un classico che ha visto anche qualcuno gridare al politicamente scorretto parlando di stereotipi fuorvianti.
Il libro ha incassato le critiche, raccolto le ovazioni di un pubblico adulto e ha registrato l’entusiasmo dei bambini di fronte a quelle illustrazioni meravigliosamente semplici, collocate su un fondo bianco che ne amplifica la potenza narrativa. Negli anni’30, nei decenni successivi e nell’oggi La storia di Pik Badaluk è un libro da incontrare assolutamente, per non perdere una speciale esperienza di vita.
Silvana Sola
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