Prima Confindustria, ed adesso non ci crede più nemmeno l’Istat, a confidare che nell’anno in corso il Pil italiano possa salire dello 0,8% è rimasto solo il nostro Governo (o meglio solo il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio), per il Centro Studi dell’Associazione che riunisce le imprese manifatturiere e per il nostro Istituto Centrale di Statistica, invece, difficilmente il Pil, alla fine dell’anno in corso, farà segnare un rialzo superiore allo 0,2%.
Infatti è di oggi la notizia che l’Istat ha tagliato le previsioni sul nostro Pil per quanto riguarda il secondo trimestre, ora la “forchetta” parte addirittura col segno meno (-0,1% +0,3%), precedentemente era (+0,1% +0,4%).
Certo, io ho sempre sostenuto che la differenza fra -0,1% e +0,1% è la medesima che c’è, ad esempio, fra il +7,6% e il +7,8% cioè sempre due decimi di punto, non si può sottovalutare, però, il diverso impatto psicologico nel vedere un segno meno anziché un segno più, ma lasciamo perdere queste sottigliezze ed andiamo al nocciolo della questione.
Ciò che ha detto oggi l’Istat è molto più grave di un semplice ritocco all’ingiù di un paio di decimi di punto percentuale nella previsione di un Pil trimestrale, visto che nella nota resa pubblica ha aggiunto, e questa è parte più significativa e preoccupante, di non vedere miglioramenti sostanziali per la seconda parte dell’anno.
E quindi, traiamo noi le conseguenze, ben che vada il Pil italiano nel 2014 si attesterà intorno alla parità, forse un +0,1%, se proprio va bene un +0,2%, altro che il +0,8% che continua a sbandierare il Governo.
Ed allora siamo alle solite, soltanto pochi giorni fa, avevo pubblicato un articolo che trattava proprio delle continue revisioni al ribasso delle stime sulla nostra crescita economica, ed ecco puntualmente l’Istat ci fornisce l’ennesima conferma.
Con ogni probabilità, così, alla fine dell’anno si riveleranno sopravalutate le stime sul Pil italiano fatte ad inizio anno dal Fondo Monetario Internazionale, dalla Banca Mondiale, dall’Ocse, dalla Banca Centrale Europea, dalla Confindustria, dalla Confcommercio, dall’Istat e dal Governo italiano oltre ad un’altra infinità di “prestigiosi” Centri Studi di varie Organizzazioni nazionali ed internazionali.
Si riveleranno azzeccate, invece, le previsioni fatte dal Centro Studio di … Marcotti!
Eh, si dirà, ma il Centro Studio di Marcotti è dotato di mezzi sofisticatissimi, che hanno elaborato complicatissimi algoritmi proprio per arrivare a previsioni sempre più accurate, ed in effetti lo stesso Marcotti ha ammesso di avere a disposizione il più grande prodigio che l’evoluzione della terra, in miliardi di anni, è riuscita a produrre … il cervello umano.
E proprio utilizzando questo meraviglioso strumento era giunto a quelle previsioni che ora sembrano risultare corrette.
“Ero partito da una considerazione – ci dice Marcotti – se sono molte di più le imprese che chiudono rispetto a quelle che aprono, e ciò avviene in tutti i settori, nell’industria, nel commercio, nell’artigianato ed anche nell’ambito professionale, e se molte imprese “delocalizzano” all’estero, ebbene se accade tutto ciò, è molto probabile che sempre più persone abbiano a disposizione un reddito inferiore a quello dell’anno precedente o trovino difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro.
E queste persone si vedranno costrette a ridurre i propri consumi, o i propri risparmi, perpetrando uno stato di difficoltà nell’economia del Paese.”
Ma non si ferma qui Marcotti, vedete a che livello di sofisticazione sono arrivati i suoi algoritmi previsivi, egli aggiunge infatti:
“Se le aziende chiudono o delocalizzano non solo lasceranno i propri lavoratori senza reddito o supportati solo da ammortizzatori sociali, ma, ad esempio, quando erano operative nel nostro Paese le imprese avevano anche acceso conti correnti presso delle Banche, e pagavano interessi e commissioni che, per gli Istituti di Credito, erano utili con i quali potevano pagare stipendi ai propri impiegati. Ma non solo, le imprese operative stipulavano polizze di assicurazione per tutelare i propri beni e coprire i rischi presso altre società, le Compagnie di Assicurazione appunto, che così facevano utili ed a loro volta impiegavano del personale. E tutto ciò, se le imprese chiudono, viene a mancare”
Insisto nel farvi notare a quale livello di sofisticazione sono arrivati questi algoritmi messi a punto dal Centro Studi di Marcotti.
Probabilmente gli errori di sopravalutazione fatti dalla Banca Mondiale, dall’Ocse, dalla Banca Centrale Europea, dalla Confindustria, dalla Confcommercio, dall’Istat e dal Governo italiano, ma ci aggiungo il Centro Studi Ambrosetti e Nomisma e chi più ne ha più ne metta, non avevano a loro disposizioni questi sofisticatissimi algoritmi che hanno permesso a Marcotti di fare previsioni più accurate.
Giancarlo Marcotti per Finanza In Chiaro