C’erano una volta due pediatri.
Uno assomigliava a Pepè la puzzola, delirava come il dr. Zero, ti ricordava ogni trenta secondi che razza di genitrice inetta fossi e faceva le diagnosi per telefono con in sottofondo i lavori di rifacimento del manto stradale. Con una percentuale di errore, tra l’altro, pari a zero.
L’altra assomigliava a Margherita Hack, animava le visite canticchiando motivetti dell’anteguerra, ti faceva sentire una madre da Oscar e le diagnosi le faceva rigorosamente dal vivo e quasi sempre a casaccio.
Uno era il nostro pediatra sul serio e mantenerlo ci costava come un secondo mutuo. L’altra era la nostra pediatra motivazionale ed era la gioia della mia autostima e dei nostri portafogli.
Ora, l’ingresso marmocchio alla materna, costellato di raffreddori perenni, otiti a ripetizione e minacce di malattie esantematiche che credevamo ormai debellate, ha reso necessaria la ricerca di una giusta via di mezzo che ci fornisse un supporto reale in campo medico (e non soltanto psicologico), senza dilapidare il nostro patrimonio famigliare.
E allora è arrivato lui: il dottor A.R. che grazie all’assonanza con il famoso telefilm dei medici in prima linea (E.R.) ci ha fatto da subito ben presagire.
Ecco. Venerdì scorso abbiamo fatto la prima visita di controllo. Che più o meno è andata così.
“Salve dottor A.R.!”, saluto io ottimista e gioiosa, Marmocchia alla mano, mentre con la coda dell’occhio osservo allibita la finestra spalancata.
“Oggi è proprio freschino!” commento, sperando che colga la leggera ironia e mi chieda di chiudere. Nel frattempo due pinguini e un orso polare si accingono ad abbandonare il suo studio in cerca di temperature più miti.
“Buongiorno Signora, eh già, non ci sono più le mezze stagioni. Un tempo a metà novembre andavamo in giro in maniche di camicia!”
Non so esattamente in quale era geologica ciò fosse possibile, ma annuisco allacciando il giubbotto a mia figlia e rimettendole cappello e guanti.
“Che fa, la copre?” chiede lui ”Andiamo, la spogli che devo visitarla“.
Esito un attimo cercando di stimare le implicazioni di una mia fuitina a gambe levate, Marmocchia sotto l’ascella. Nel dubbio desisto e la spoglio.
“Ma che bella marmocchia!”. Esclama estasiato. ”E’ incredibile!“.
Lo sapevo - penso io - magari è un po’ eccentrico e dovrebbe di certo rivedere il suo approccio alle temperature stagionali, ma siamo nel suo studio da soli trenta secondi e ha già capito che essere eccezionale sia la Marmocchia. Speciale, unica, inimitabile. Bellissima! Non per niente sono io la sua mamma, no?
“Mi tolga una curiosità, come ha fatto LEI a fare una figlia così bella?”.
Silenzio. Occhi a palla. E la mascella mi casca qualche centimetro in giù.
“Aehm… sì, ha proprio dell’incredibile dottore” commento cercando di non fargli leggere i sottotitoli il cui contenuto andrebbe comunque beeppato nella sua interezza.
Inizia la visita. Nonostante l’esordio poco felice sembra saperci fare. Quasi quasi ci piace.
“Signora, Sua figlia è piccola, piccola, piccolissima, ma d’altre parte anche Lei, perciò!” conclude, con un’aria anche piuttosto compiaciuta.
E parte con una specie di quizzone sulle misure corporee dei parenti marmocchi, a partire da quelli in vita e indietro di cinque generazioni, alla ricerca del responsabile (oltre me) della piccola-piccolissimità marmocchia.
Devo ammettere che ad un certo punto inizio a rispondere a casaccio, mentre col pensiero vado ad un tempo molto lontano in cui la nana stava in una pancia che pesava 12 chili ma sembrava essere piccola, così piccola, che a stento durante il parto l’avrebbero trovata. Ecco, per dovere di cronaca, durante il parto non solo la trovarono, ma della sua venuta al mondo porto ancora un vividissimo ricordo che potrebbe riassumersi nella seguente riflessione: “Piccola un caxxo!”.
E vai di esame oculistico.
“Molto bene. Sua figlia è leggermente strabica, ma d’altra parte anche Lei, perciò!”.
No, io a questo gli stronco la carriera! Strabica a chi? Ma poi la finiamo con sti ”perciò”? Perciò de che?
Chiudiamo la visita con il pezzo da novanta: lui che apre uno stanzino, in cui sono accatastati a casaccio quintali di medicinali, per trovare un campioncino di shampoo contro la ricomparsa della crosta lattea (unica caratteristica - a parte la bellezza- di cui peraltro sembro non essere direttamente responsabile). Stranamente ne riemerge senza.
“Non riesco a trovarlo” fa lui realmente stupito.
Per forza- vorrei commentare io - quello stanzino è vecchio, disordinato e mostra segni di forte squilibrio. Ma d’altra parte anche Lei dottore, perciò!