Meno male, ogni tanto mi capita d’uscire da una sala cinematografica con la mente “leggera” e il cuore colmo d’emozione, intento a stropicciarmi gli occhi nel tentativo di riprendere contatto con la realtà: è, in poche parole, la naturale, primigenia, magia del cinema, e nell’elenco di film recenti che sono riusciti a suscitare in me queste belle sensazioni ora posso annoverare anche Pina di Wim Wenders, splendido documentario originariamente con e poi per Pina Bausch, ballerina e coreografa innovatrice, dopo la sua morte improvvisa avvenuta nel 2009.
Concepita e realizzata per la visione in 3D, ma godibilissima anche nella “normale” dimensione, versione da me vista, l’opera di Wenders gode di una scioltezza di ripresa e di una grazia espressiva non comuni, insieme ad una levità del tocco e ad uno stile affabulante nel descrivere le caratteristiche del Tanztheater , con sede a Wuppertal, Germania, il “teatro danza” cui la Bausch diede vita a partire dal’73, dando opportuno rilievo alle sue tracce ispiratrici, quali l’allontanarsi tanto dal balletto classico che dalla danza moderna, offrendo spazio ad elementi di recitazione pura, vedi la reiterazione del gesto o l’uso mirato della parola.
Le intuizioni più felici del regista si sostanziano in primo luogo nel lasciar parlare le immagini, intercalando al riguardo repertorio, visualizzazione di coreografie(Café Müller, Sacre du printemps, Vollmond e Kontakthof) e i ricordi dei singoli danzatori, insieme ai quali si affanna e si suda, partecipando ad ogni loro sforzo, tanta e tale è la forza suggestiva delle riprese: viene data voce ai loro disagi, ai loro sentimenti, alle loro paure, proprio quanto la Bausch pretendeva esternassero e poi trasferissero in scena, esaltando ogni minimo movimento del corpo ed ogni sua interazione funzionale con gli oggetti presenti sul palco, così da rendere ancora più evidente la vivida presenza dell’uomo, dell’essere umano, in tutta la sua portata contraddittoria di forza e fragilità, connotata ulteriormente da una forte carica sensuale.
Molto bella, poi, la carrellata che dall’interno del teatro ci porta nelle strade di Wuppertal, alternando riprese urbane, dominate da una fredda architettura, ed altre visualizzanti l’altèra bellezza degli scenari naturali, entrambe “riscaldate” e valorizzate dal suddetto drammatico contrasto, conferendo spinta propulsiva all’estrema creatività, nel protendersi di quest’ultima per conferire inedita valenza artistica a quanto ci circonda.
Probabile che sia stato influenzato dalla mia passione per ogni espressione d’arte, ed in particolare riguardo l’ambito di eventuali e benvenute commistioni o confluenze, ma, appassionati o meno, Pina è, almeno a parere di chi scrive, una pellicola che, ripetendo quanto scritto ad inizio articolo, possiede il raro dono di scaldare il cuore e liberare la mente, riuscendo a dare un senso al nostro impegno quotidiano nell’esprimerci sulla base delle coreografie che ci vengono offerte dalla vita: ecco perché lascio il compito di valida chiosa finale alle belle parole di Pina Bausch, “danziamo, danziamo, altrimenti siamo perduti” .
Inserito nella sezione Eventi Speciali del Festival Internazionale del Cinema di Roma 2011; fuori concorso al 61mo Festival di Berlino (2011); candidato all’Oscar 2012 come miglior documentario.