Magazine Cultura
Sono andata a vedere il primo appuntamento della rassegna di video e film (Pina Bausch. Un ritratto) che l'Auditorium Parco della Musica ha deciso di dedicare a Pina Bausch e al Tanztheater Wuppertal.
Praticamente non conosco assolutamente nulla di questo mondo. Anzi, ieri sera dicevo che più vado avanti e più mi rendo conto dell'immensità delle cose che non so e della conseguente difficoltà nel parlare con gli altri e nel comprendere il mondo. Per questo, mi sono accostata alla visione di questi due video con l'apertura mentale della neofita, senza aspettative particolari ma con la curiosità che mi caratterizza.
C., che mi ci ha "trascinata", denunciava la difficoltà e la sofferenza di assistere a uno spettacolo di danza - che è fisicità e corpi in movimento, sudore e guizzo di muscoli - attraverso una registrazione video, che impone un punto di vista e costringe a guardare con gli occhi del regista. Per me, poco adusa all'esperienza del balletto, lo shock non è stato così forte.
Del resto, il primo dei due video, Café Muller, di fatto si presenta come una via di mezzo tra un'opera teatrale e un'opera di danza. Ambientato nel grande salone di un caffè ingombro di sedie vuote, la cui unica sorgente di luce è una porta girevole di accesso alla sala.
Su questo palcoscenico si alternano varie figure, spettri ciechi, tra cui un ruolo di primo piano hanno una donna e un uomo che si muovono per la sala, a volte camminando, a volte correndo, secondo traiettorie a volte regolari, a volte del tutto imprevedibili. Un altro uomo entra in scena a spostare le sedie contro cui altrimenti gli altri due si scontrerebbero nei loro spostamenti. Un'altra donna, sempre isolata, e presente fin dall'inizio in scena, si è rivelata ai miei occhi il doppio della protagonista, il suo "io" interiore.
I due protagonisti, ad occhi chiusi, si incontrano casualmente, si scontrano, si sfiorano, si allontanano, a volte si cercano. Di tanto in tanto, un altro uomo entra in scena, intervenendo nel loro rapporto. Li unisce, li separa, li accudisce.
In scena compare anche una donna con un cappotto verde, una parrucca rossa e delle scarpe coi tacchi. L'unica figura colorata. Osserva, partecipa, imita. Ingenua e malinconica. Dal sorriso triste, ma non tragico. Finirà per spogliarsi anche lei di questa maschera posticcia.
Ne uscirà un quadro sconfortante dei rapporti umani - e di coppia in particolare. Della vita, che nella sua insensatezza e nel suo turbinio cieco mette a nudo la nostra incapacità, la nostra fragilità, il dolore che non riusciamo reciprocamente ad evitarci. Il bisogno di incontrarsi, l'impossibilità di sostenersi. La ripetizione dei comportamenti, degli errori, della ricerca di noi stessi e dell'altro.
A volte sembra quasi ipotizzarsi l'esistenza di un deus ex machina a governare queste nostre esistenze, ma è evidente che nessuno in realtà è in grado né di impedirci di farci del male, né di garantirci la felicità di un incontro, né di dare un esito positivo alla nostra ricerca infinita.
Quadro disperato, ma di un'intensità visiva ed emotiva straodinaria.
Il secondo video, Le sacre du printemps, sulla musica di Igor Stravinskij, è un balletto più classico. Quindici uomini e quindici donne in una scena spoglia, che danzano sull'argilla sporcando corpi e abiti. Una specie di rito di iniziazione, di cacciata dal paradiso terrestre, di confronto con una realtà con la quale tutti dobbiamo sporcarci.
Belli il gesto, i corpi in movimento, il simbolismo. Ma emotivamente l'ho trovato meno coinvolgente.
Non sarei la persona più adatta a dare un voto a un mostro sacro della danza del Novecento, ma il mio voto è alla capacità che ha avuto di conquistarmi.
Voto: 4/5
Café Muller
Le sacre du printemps
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