L'ho trovato un film entusiasmante che mi ha fatto scoprire le potenzialità dell'espressività corporea, probabilmente anche grazie alla tecnica di ripresa 3D. E forse mi ha anche convinto ad andare a vedere qualche spettacolo di teatrodanza in più, a patto che duri al massimo poco più di un'ora.
Perché in effetti il mio entusiasmo per il film di Wenders, dedicato alla famosissima ballerina e coreografa scomparsa Pina Bausch, è iniziato vorticosamente a scendere dopo due terzi del film. Sarà stata la stanchezza della sera, sarà stato l'affievolirsi dell'effetto 3D (al quale ci si abitua e non si presta più molta attenzione), ma avrei fatto volentieri a meno degli ultimi 20 o 30 minuti di pellicola.
Al di là di questo, ciò che più mi ha colpito nelle coreografia che Wenders e Bausch hanno studiato insieme e che il regista ha filmato è stata una raffigurazione della donna - così mi è parso soprattutto nelle coreografie iniziali - come di un essere intrappolato nel proprio desiderio e eterodiretta e costretta a muoversi. E così la donna (ma a volte anche l'uomo) cammina quasi come una sonnambula disperata in un ambiente in cui l'uomo sposta gli ostacoli, oppure ne corregge postura e traiettoria. La accudisce come un uccello che pure tiene prigioniero in gabbia.
Oppure la ballerina è costretta a strisciare per terra o è trattenuta da robuste corde che le legano la vita. Oppure ancora è oggetto indolente di manipolazioni da parte di uomini scienziati-stupratori-utilizzatori finali delle sue membra.
Non c'è solo questo, certo, nelle coreografie, ma tutta la gamma dei sentimenti e delle pulsioni umane. Eppure è questa visione della donna come oggetto e creatura del maschio che mi ricorda la letteratura ottocentesta, una visione da 'woman in the attic' come la "pazza" Bertha di Jane Eyre, romanzo di Charlotte Brontë, che è l'aspetto attraverso il quale sono riuscito a entrare in maggiore contatto con il film.
