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Pino Tripodi: Raccontare un Sud Possibile

Creato il 04 novembre 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Pino Tripodi: Raccontare un Sud Possibile

La zecca e la malacarne, romanzo di Pino Tripodi edito da Milieu, è uno di quei libri che inizi con fatica, restando ancorato alle pagine per quella sorta di "obbligo interno" che spinge il lettore a finire quanto iniziato. Poi, proprio quando anche questo obbligo sembra vacillare, tutto cambia: lo stile di scrittura si fa più scorrevole, chiaro, quasi lineare, il tono diviene meno scuro e chiuso in se stesso e più positivo così come la stessa storia che, in luogo di avvilupparsi sempre di più, lascia intravedere una possibilità diversa, impensata. Ma non sveliamo troppo.

Ci sono quattro ex studenti (Nenè Palermo, Maria Lecce, Saro Napoli e Anna Calabro), ora uomini e donne di successo, con le loro storie, più o meno abbozzate, che tornano nel luogo dove sono nati, un non precisato paese del Sud, per mantenere fede ad una promessa fatta tanti anni prima, quando con tutta la vita davanti avevano deciso di viverla lontani da lì, lontani dalla "malacarne" e dalla "zecca". Ma lì tornano, per poter liberare la loro terra sia dalla zecca che dalla malacarne. Fino a qui nulla di inedito, quello della resurrezione morale e, quindi, materiale del Sud è un sogno che molti italiani accarezzano. Neppure il mezzo è del tutto innovativo: L'Eco del Sud, un quotidiano che ha il compito di "aprire" le menti. Racconti di nefandezze, di corruzione, di malaffare, ma senza citare i protagonisti, perché l'obiettivo non è far accusare e spedire gente in galera, ma annullare la malacarne in cui la zecca, la mafia, si annida.

La mafia ha bisogno della malacarne per nascere, crescere e prosperare. Ribaltando una prospettiva diffusa, non è la zecca, la mafia, che ha generato l'omertà e il mal costume. Al contrario, è proprio questo clima, questo substrato di incuria, di malaffare, di interessi di bottega delle mille clientele ad aver creato l'humus perfetto per la zecca-mafia. Raccogliendo racconti circostanziati di questo malessere diffuso e pubblicandoli, i nostri quattro vorrebbero mostrare la pochezza, la miseria di chi si macchia di tali delitti per fargli il vuoto attorno esortando così costoro ad abbandonare questi comportamenti, perché nessuno, se gli viene data la possibilità, desidera portare la croce di una vergogna così grande che macchia non soltanto lui, ma anche i suoi figli. Utopistico? Probabilmente. Razionale? Come quell'impeccabile teorema chiamato "prova di verità del peto" che avrete il piacere di leggere nelle pagine del romanzo. Così tra sogno e realtà, tra ragionamenti lunghi e tortuosi, in cui si corre il rischio di perdersi e di perdere di vista chi parla e quello che dice, si sviluppa la prima parte del volume scritto da Pino Tripodi.

Il secondo capitolo de La zecca e la malacarne si apre con un flashback che della "diaspora" dei quattro protagonisti del romanzo è l'antecedente: si racconta del perché il figlio del Muto, quel Nené Parlermo che de L'Eco del Sud è uno dei fondatori, se ne sia fuggito dalla sua terra, ovvero il tentativo di ucciderlo da parte di un uomo della zecca, fortunatamente fallito. La decisione di non vendicarsi, non fare nulla, perché se si deve combattere la zecca e la sua malacarne bisogna iniziare rifiutandone le linee guida, tracciando una strada nuova e marcando le differenze tra due modi opposti di esistere.

"La vendetta è bandita dalle mie idee. La vendetta scambia un male con un altro male, baratta la giustizia con il dolore. È uno scambio orrendo. I morti non tornano. Il dolore non scompare. [...] Ci sono due strade ben distinte. Da parte della società il disprezzo, il disgusto, lo scherno, l'isolamento delle persone e soprattutto delle culture e dei gesti della zecca e della malacarne. La zecca si alimenta della paura altrui. Senza questa paura muore. [...] I colpevoli per bloccare la propria colpa possono condannarsi all'autostracismo, all'allontanamento volontario e perenne dalla comunità che hanno offeso; per redimersi hanno un'unica strada: il suicidio".

Successivamente, il romanzo prende una direzione nuova ed inaspettata e anche la scrittura di Tripodi scorre più fluida ed ammaliante: sulla scena appaiono personaggi ben costruiti e vicende di piccola criminalità che ci ricordano quanto abbiamo letto sui quotidiani o visto al cinema. Un capomafia che ormai ha perso il suo potere e che viene tradito, i suoi due figli maggiori ammazzati, il terzo figlio spinto a prendere il ruolo di capo, ma non adatto, la figlia costretta a sposare l'omicida dei fratelli che, però, giura odio eterno al marito e si veste solo di veli neri e, infine, Francesco, detto Ciccio. Come sarebbe stato Michael Corleone se fosse vissuto al Sud? Sarebbe stato come Ciccio: lontano dalle trame della sua famiglia, un folletto del bosco cresciuto dal nonno in campagna, capace di copiare il canto degli uccelli e di riprodurlo, introverso, poco propenso a dire una parola di più e assetato di sapere. Tanto che finisce a Milano a studiare all'università. Cosa? Filosofia, ovviamente. Poi, succede che gli affari della sua famiglia prendono il sopravvento e Ciccio lo ritroviamo in carcere soggetto al 41 bis, il regime del totale isolamento. Un regime che per un introverso come lui va benissimo: nessuna condivisione di spazi con altri, nessuna forzatura, molto tempo per sé e per i suoi studi, tempo per continuare tranquillamente ad organizzare gli affari della "famiglia" tramite lettere cifrate consegnate a parlamentari, alle guardie carcerarie, ad una pletora di messaggeri incapaci di decifrare un codice inattaccabile.

Ma le sorprese non terminano qui. Il libro di Tripodi, che a tratti assume i contorni del thriller e dell'hard boiled, tiene il lettore con il fiato sospeso ed alla fine colpisce con un ulteriore scarto davvero inaspettato, di quelli che scaldano il cuore e che fanno pensare immediatamente alla conclusione de L'amico ritrovato di Fred Uhlman.

Insomma, superando lo scoglio delle prime pagine e non facendosi spaventare dai repentini cambi di scena e di piani temporali, La zecca e la malacarne è a conti fatti un romanzo bello ed avvincente che regala speranza facendoci riflettere sul Sud e su quelle scelte che potrebbero essere fatte per modificarne il destino.


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