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Piotr Oreshin

Da Paolo Statuti

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Piotr Vasil’evič Orešin, poeta e prosatore contadino, nacque il 16 luglio 1887 nella città di Atkarsk (provincia di Saratov) nella famiglia di un commesso di negozio. Terminata a pieni voti la scuola elementare, a 12 anni iniziò gli studi presso una scuola quadriennale di Saratov, che tuttavia non poté terminare per mancanza di mezzi, benché avesse superato gli esami di ammissione alla terza classe. A 16 anni entrò in una scuola di ragioneria, ma ben presto la lasciò.
I suoi primi versi furono pubblicati nel 1911 sul Messaggero di Saratov. Ma l’attività letteraria del giovane poeta iniziò sostanzialmente nel 1913, quando si recò a Pietroburgo e cominciò a pubblicare sulle riviste della città.
Nel 1914 fu chiamato alle armi. Partecipò come soldato semplice ai combattimenti della I Guerra mondiale e fu decorato al valor militare. Nel 1918 Olešin pubblicò due libri di versi – Il bagliore e La Rus’ rossa. Sul giornale Il nostro cammino (n. 2, 1918) Sergej Esenin, il maggior rappresentante della corrente contadina, che 7 anni dopo – il 28 dicembre 1925 si suicidò (se non fu ucciso da agenti della polizia segreta), recensì in questo modo Il bagliore:
Chi ama il paese natio?
Il vento-vagabondo rispose al Signore:
- Chi piange in autunno
Per il campo falciato e di nuovo con gioia
Sotto il sole di primavera
Nel campo senza berretto e scalzo
Cammina dietro l’aratro –
E’ colui, o Signore, che più di tutti ama
Il paese natio.

Simili semplici e calde parole, paragonabili a un lago di campagna che riflette la luna, la chiesa, le case, ricorrono molto spesso nel libro di Piotr Orešin. Al giorno d’oggi, quando «Dio ha mescolato tutte le lingue», quando i patrioti di ieri sono pronti a rinnegare e maledire tutto ciò che da tempo immemorabile ha rappresentato «il paese natio», questo libro costituisce un evento particolarmente lieto… Ogni poeta ha le proprie tonalità di colori, il proprio scrigno di parole e immagini. Anche se in molti punti l’occhio di un lettore esperto può notare difetti o lacune, anche se alcune immagini siedono sul rigo come scarafaggi che rodono una crosta di pane, ciò non menoma affatto la freschezza e la fragranza di questa raccolta, per chi riesce a vedere «le albe che tessono ampie tele sulle case», per chi sente che «un gallo rosso ha gridato nelle nuvole»…
Sergej Esenin

Negli anni ’20 il poeta collabora attivamente con gli editori di Pietroburgo e di Saratov. Svolge un’intensa azione di propaganda, scrive moltissimo. Una dopo l’altra escono le successive raccolte di versi, tra le quali ricordiamo: Dulejka (1920), Piccola betulla (1920), Sole di segala (1923), Frantumi di paglia (1925), La sincera lira (1928). Per iniziativa di Olešin presso l’organismo proletario-culturale Proletkul’t di Mosca, fu creata una sezione degli scrittori contadini. Nel 1924 fu pubblicata a Mosca una raccolta intitolata Creazione dei popoli dell’URSS. Orešin fu non solo l’autore di questo volume, ma anche il traduttore di molti testi folcloristici di diversi paesi.
Negli anni ’30 Orešin senza mezzi termini esprime il suo giudizio negativo su molti dirigenti del partito. Nel 1934 la milizia ferma il poeta, dopo aver udito dalla sua bocca queste parole: «Una canaglia come il compagno Kaganovič, voi compresi, non posso sopportarlo, come non sopporto i furfanti». Un anno dopo, durante un’assemblea degli scrittori sovietici, Orešin dichiarò: «Il potere sovietico non lascia vivere la gente per bene. Stalin è una canaglia che non può apprezzare i lavoratori onesti». Nel 1937 uscì l’ultima raccolta del poeta – Sotto un cielo felice, ma il cielo felice disegnato sulla copertina del libro, non tardò molto a trasformarsi in un cielo profondamente infelice sulla testa del suo autore: il 28 ottobre dello stesso anno fu arrestato e il 15 marzo dell’anno seguente venne fucilato con l’accusa di attività terroristica, insieme con un altro poeta contadino – Vasilij Nasedkin, amico e cognato di Sergej Esenin. Altri due poeti contadini: N. Kljuev e S. Klyčkov, erano stati fucilati l’anno precedente con la stessa accusa.
Con la sua creazione Piotr Orešin contribuì notevolmente allo sviluppo della tematica contadina nella letteratura sovietica (A. Tvardovskij, M. Isakovskij).

Poesie di Piotr Orešin tradotte da Paolo Statuti

Non di opera umana

1
Prostratevi,
Cadete all’ingiù
Col muso nel fango.
Con gli occhi
Di un vecchio vampiro
Guardate:
Come sono bello!

2
Rossastre
Aurore a larga chioma
E
L’oscurità dei boschi,
La segala
E
I covoni dietro il villaggio –
Ecco il mio corpo!

3
Le orecchie
Lunghe,
Di lappe di nuvole,
Nei capelli rossicci,
Applaudiscono
Alla maniera degli asini
Verso il cielo.

4
Due
Occhi storti –
Due
Oceani che riposano in me,
E
Le spesse
Ciglia dei bulbi
Caldamente
Verdeggiano sugli zigomi!

5
La mia bocca
Di pietra,
Di canti
E’ gonfiata
Da est a ovest.

6
Le gambe
Con gli zoccoli
Lanciate verso il cielo,
E
L’unghia
Sulla mia zampa –
Pelosa –
Avvampa!

7
Sazio,
Pigro,
Come un bue,
In una lunga camicia
Di aurore –
Tarchiatamente mi sono seduto
E siedo,
Sdraiandomi,
Sul pingue colle dell’Universo.

8
Un bosco
Scuro cresce
Sul mio ventre peloso.
Nei pini
Di pietra
Grigi lupi
Con pianete e mitre,
Accesa una candela,
Celebrano la messa.

9
Eterno
Non di opera umana,
Pesantemente
Faccio roteare gli occhi,
Come le macine
Degli azzurri
Mulini del cielo!

10
Lentamente
Mastico le nuvole
E
Penso
Ai fratelli che periscono
Col mio saggio ventre
Spensierato!
11
Attraverso le palpebre chiuse
Vedo:
Nuovi fiumi
Tra le mie gambe
Cullano
Una nuova terra
Su creste dorate.

12
Ascoltando il Mondo,
Ho sputato
Attraverso il labbro inferiore
Sporgente,
Ed ecco:
Rovesci
Di pioggia,
Come lance,
E,
Tintinnando,
Si conficcano nel terreno!

13
Eterno,
Non di opera umana,
Lo spirito
Della vivifica Primavera
Io soffio sui campi arati
E
Sui
Nudi ginocchi dell’Universo
Io spargo
Il seme azzurro
Del mio eterno trionfo:
Osanna nell’alto dei cieli!

1918

Abitudine

Mi piace riconoscere gli uccelli dal grido.
Mi è caro nei villaggi il sonno festivo.
Mi piace ascoltare un triste canto d’amore
E il fischio che accompagna l’armonica.

I miei occhi sono avvezzi ai solchi,
Alla casa nella steppa, alle colline arate,
Dove una nuvoletta dorata pernottava
E un verde fruscio percorreva la campagna.

Sono avvezzi i piedi a pestare l’erba e la neve,
A trascinarsi nel fango della strada!
O terra natia, o mia nera amica,
In te io giacerò, ridendo!

Le mie mani accarezzano le criniere,
Tintinnano con la falce e premono sull’aratro.
E dolce è ad esse arrossarsi con l’ortica,
E riposare nei momenti d’ozio inatteso.

Non mi fermerò in questo mondo a lungo,
Sono giunto come ospite in questa casa radiosa.
Ma come smetterò di ammirare il Volga
E come non rimpiangerò il villaggio natio?!

E che sarà, se un giorno io cesserò di amare
La tristezza della betulla della steppa,
E dietro la finestra il sorbo in autunno
E il cigolio e il dialogo delle ruote!

1924

Il sonno delle betulle

Sonno delle betulle, sereno e pensoso,
L’azzurro, un sorriso e la quiete.
Cammino nel grano rosato,
Toccando con gli occhi e con la mano.

E’ come se dicessi a me stesso
Che vivo in un paradiso sognato.
Ma scorrono piume di nuvole
Sulla mia testa insensata.

Dietro il villaggio i meli e i peri
Cadono come petalo vermiglio.
E mi canta il vento negli orecchi
Con un sonoro verso campestre.

Io cerco l’inizio di quel canto,
Ma esso non c’era e non c’è.
Non chiedere ciò che sembra una fiaba,
Ciò che non può trovare risposta!

Questi boschetti e questi villaggi
Non parlano forse per se stessi?
Sopra i boschi un vapore di aloe,
Un nostalgico tramonto dorato.

Parlano forse poco senza parole
Queste biade e siepi intrecciate?
Meglio nell’anima del paese azzurro
Nel silenzio più profondamente guardare.

Là distese di sole e di grano,
Risuona la falce e un canto si sente.
Sonno delle betulle, sereno e pensoso,
La nebbia, un sorriso e la quiete!

1927

(C) by Paolo Statuti



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