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Pirandello, un palco e sei personaggi

Creato il 19 febbraio 2015 da Scribacchina

Voglio riagganciarmi, e non per la prima volta, al primo post di Numéro 091277, quello che ha dato inizio all’avventura di questo blog nel settembre 2011.
Quel post contiene una frase presa dalla prefazione a Il Fu Mattia Pascal, capolavoro di Pirandello che ho letto e amato come fosse un pezzo della mia carne.
E’ una frase che porto impressa a fuoco nella testa e nel cuore.
Parla di sofferenza, di piacere, e trasuda tanta di quella umanità da farti sentire che, in fondo, tutti siamo uguali di fronte alle cose della vita.
Luigi era un meraviglioso indagatore dell’anima.

***

Generalmente, a teatro ci vado per sentire concerti, non per assistere a rappresentazioni; così è sempre stato, nel mio piccolo mondo.
Di opere teatrali ne ho viste proprio pochine.
Ne ricordo una in particolare, parliamo di una ventina d’anni fa: era l’opera prima di una compagnia teatrale della zona, un pezzo originale; ci ero andata per lavoro. Conoscevo abbastanza bene il regista e gli attori, ma la molla che mi aveva spinta ad accettare di recensire la pièce era scattata quando avevo letto il nome dell’autore della colonna sonora: era un amico, un pianista.
Ne ero pazzamente innamorata.
Situazione abbastanza comune: lei, innamorata di lui; lui, innamorato dell’amicizia.
Fu una cosa abbastanza ridicola perché il tizio non mi riconobbe (c’è da dire che non ci vedevamo da un annetto, ma… via, egli non era ancora in età da Alzheimer); dovetti qualificarmi e spiegargli – come si suol dire – la rava e la fava.
Una serata bruttissima.
Eppure, questo lo dico senza vanagloria, il pezzo che scrissi era davvero molto bello.

***

Tra i buoni propositi di quest’anno c’era quello di avvicinarmi al teatro, decisa a recuperare il tempo perduto e le bellezze di un’arte che ho sempre trascurato.
Ho scelto di iniziare con qualcosa che potesse essermi familiare, che potesse fare da trait d’union tra il mio personalissimo vissuto e una nuova esperienza.
Luigi, voilà.

luigi pirandello

In questo periodo, a Milano danno Sei personaggi in cerca d’autore, una tra le pagine più importanti del teatro italiano; sicura di fare la scelta giusta, sono andata a vederlo.
Ed è stato destabilizzante sentire il personaggio del padre (interpretato da Gabriele Lavia) rivolgersi al capocomico scandendo queste parole:
«Non è forse vero che mai l’uomo tanto appassionatamente ragiona (o sragiona, che è lo stesso), come quando soffre, perché appunto delle sue sofferenze vuol veder la radice, e chi gliele ha date, e se e quanto sia stato giusto il dargliele; mentre, quando gode, si piglia il godimento e non ragiona, come se il godere fosse suo diritto?
Dovere delle bestie è il soffrire senza ragionare. Chi soffre e ragiona (appunto perché soffre), per quei signori critici non è umano; perché pare che, chi soffra, debba esser soltanto bestia, e che soltanto quando sia bestia, sia per essi umano».

Sono saltata sulla sedia.
La mia frase, quella frase, quella che rappresenta me e il mio «essere umana».
Eppure non è contenuta nel testo originale, no: è stata presa da un altro contesto (l’introduzione a Il fu Mattia Pascal, appunto) e smussata per incastrarla nei Sei personaggi.
Inserita, adattata e declamata a gran voce in pubblico.
Sentita con queste orecchie.
Proveniente dalla bocca di un altro – e chi era, quell’altro?
Il personaggio? L’attore? O forse… l’autore?

Già, l’autore.
Penso a Pirandello e mi viene in mente Marta Abba.

Marta Abba

Marta: bellissima attrice, musa ispiratrice di Pirandello.
Lui, pazzamente innamorato di lei.
Lei… chissà. C’è chi dice no, chi dice ni, chi dice boh, chi dice massì.

Io dico «per niente».

«Marta mia, vorrei che Ti venisse più spesso l’ispirazione di scrivermi, perché il bisogno che ho sempre avuto delle Tue lettere, come dell’aria per respirare, in questo momento è più grande che mai; e Ti dico perché. Credo che io stia componendo, con un fervore e una trepidazione che non riesco ad esprimerti, il mio capolavoro; con questi “Giganti della montagna” mi sento asceso a una sommità, dove la mia voce trova altezze d’inaudite risonanze… E scrivo con gli occhi della mente fissi a Te. Poco importa che poi tu non debba presentare questo lovoro… Ciò che importa, non solo, ma mi è assolutamente necessario in questo momento, è che lo sto scrivendo per Te. Non potrei più andare avanti d’una parola, se la Tua divina Immagine ispiratrice m’abbandonasse per un istante …. Ajutami, Ajutami per carità, Marta mia, non mi lasciare, non m’abbandonare, sono gli ultimi miei momenti: ho tanto, tanto bisogno di Te, di sentirti uguale e vicina, quella di prima… Scrivimi, fatti viva, ho tutta la mia vita in Te, la mia arte sei Tu; senza il Tuo respiro muore…».


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