A quattro anni dal deludente Pirati dei Caraibi-Ai confini del mondo (2007), terzo tassello della saga piratesca iniziata con il sopravvalutato La maledizione della prima luna (2003) – ispirato ad una delle più famose attrazioni del parco dei divertimenti di Disneyland – e proseguita con il movimentatissimo Pirati dei Caraibi-La maledizione del forziere fantasma (2006), Johnny Depp torna a vestire – ora in tre dimensioni – i panni dello strambo Capitan Jack Sparrow, non più affiancato, però, da Keira Kneightley e Orlando Bloom, i quali interpretarono Elizabeth Swann e Will Turner nei tre successi firmati da Gore”The ring”Verbinski sotto la produzione di Jerry Bruckheimer.
Questa volta, infatti, nel ruolo dell’enigmatica Angelica, è Penélope Cruz, forse intenta ad usarlo per arrivare alla mitica Fontana della Giovinezza, a coinvolgerlo in una nuova avventura, costringendolo ad imbarcarsi a bordo della Queen Anne’s Revenge, nave del minaccioso pirata Barbanera cui concede anima e corpo il veterano Ian”Scoop”McShane.
Il nuovo arrivato dietro la macchina da presa Rob Marshall, quindi, autore di Chicago (2002) e Memorie di una geisha (2005), privilegia l’ironia e l’azione già a partire dai primissimi minuti di visione, pur senza rinunciare all’accentuazione di un certo aspetto horror, testimoniato soprattutto dai toni dark efficacemente resi dalla fotografia di Dariusz Wolski (non a caso, il suo curriculum include Il corvo e Dark city).
Toni dark che, tra pericolose sirene, zombi e feticci voodoo, rischiano soltanto di rendere eccessivamente scure le sequenze notturne a causa del 3D, il cui scopo principale sembra essere quello di conferire l’impressione che le varie lame delle armi bianche valichino lo schermo verso gli occhi dello spettatore.
Ma, sebbene qualcuno possa pensare al rischio che i bambini si spaventino, provvede il già citato Depp, strepitoso come sempre e pronto a snocciolare “Non è la destinazione, ma è il viaggio che conta” quando necessario, a fornire la giusta dose di situazioni volte a divertire ed a stemperare l’imperante clima funereo.
Al servizio di uno spettacolo su celluloide che, impreziosito come il precedente episodio da una breve apparizione del rollingstonesiano Keith Richards nei panni del padre di Jack, privilegia in maniera particolare l’azione, attraversato da un buon ritmo narrativo che non fa pesare affatto i 137 minuti di durata.
Pur senza eccellere, ma intrattenendo a dovere… fino ad un’ultima scenetta a sorpresa che vi attende dopo i titoli di coda!
Francesco Lomuscio