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pitagorismo contemporaneo

Creato il 01 ottobre 2010 da Eratostene
Tutto avrei immaginato, fuorché assistere ad un'opera dall'impianto pitagorico: è capitato con Le quattro volte (Italia-Svizzera-Germania 2010) di Michelangelo Frammartino, non un finto documentario, ma un film vero e proprio (pregevole), densamente sceneggiato e pensato secondo un impianto molto rigoroso. Un breve prologo sul lavoro dei carbonai calabresi precede le quattro volte del titolo: la vita di un pastore di capre e la sua morte; la nascita di una capretta, la sua breve vita, il suo smarrirsi nel bosco e la sua morte sotto un alto pino; la vita del pino, tagliato, usato come albero della cuccagna e, finita la festa, fatto a pezzi e portato dai carbonai; il lavoro dei carbonai, la nascita del carbone e la sua distribuzione in paese. Il fumo che esce da un camino (presente già in un'inquadratura della prima volta) conclude il film, circolarmente. Tutto ciò secondo la più classica teoria della metempsicosi del pitagorismo antico.
Film giocato sul montaggio, sull'uso di camera fissa (spesso in campo lungo), oppure mossa sul proprio asse, come nell'articolato pianosequenza che segna il passaggio dalla prima alla seconda volta, dalla processione pasquale che svuota il paesino, con l'incidente al furgone causato dal cane che causa la liberazione del gregge: l'invasione caprina del paese e la 'veglia' al pastore morente costituisce il preludio al primo snodo. Altrettanto importante il sonoro, come fa notare il regista presente in sala: proviene sempre da dietro lo schermo, tranne nelle dissolvenze in nero (che segnano il passaggio da una volta all'altra), quando è utilizzato il dolby 5:1.
Altre annotazioni: la sequenza dell'albero della cuccagna ricorre anche nel celebre documentario di Vittorio De Seta; da ricordare l'usanza arcaica della polvere di chiesa da assumere come farmaco (il pastore muore proprio in seguito alla sua mancata assunzione); gli aneddoti raccontati dal regista nel dibattito seguito alla proiezione (la direzione della troupe in dialetto calabrese; la durata delle riprese - 5 anni; il cane, la vera star del film; l'accoglienza ricevuta; le usanze dei pastori).

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