di Antonio Miccoli
© Giuseppe Diso: Estate (olio su tela)
E’ un andare per luoghi della memoria la pittura di Giuseppe Diso. Un percorso che suscita a ogni tema e soggetto innegabili suggestioni di tempo vissuto, poiché elegge le coordinate del paesaggio e un ben preciso suo approccio alla figura a termini dell’interiorità altrimenti inesprimibile. Se gli scenari rurali e urbani, o i volti, rapiscono il fruitore per quell’accattivante aura di familiarità e di appartenenza, ad un livello più profondo la pittura di Diso può senz’altro definirsi uno stato metafisico come regola del sentire che trova poi attuazione nel rigore dell’esecutività.
Più addentro, il fondamento di quest’arte è tutt’altro che idilliaco, quanto piuttosto densamente problematico, ove segno e natura vivono di una loro inscindibile simbiosi. In Diso, infatti, non si scorge affatto un intento meramente descrittivistico nè una trasposizione del sè nella natura; lo spazio visivo, bensì, soggiace ad una procedura espressiva che mira ad assegnare un raro ordine al frastagliato territorio di confine ove coesistono illusione e presenza delle cose, proiezioni mentali e oggettività. Il nesso fra questi due mondi opposti e complementari è dato dal segno oramai fattosi linguaggio personale ed avulso da qualsiasi influenza che non sia la sapiente cognizione di importanti esperienze e modelli alimentati da un assiduo esercizio. Elementi che, alla fine, rivelano una convinta vocazione ed una costante ispirazione a creare.
Benché non sia forse ancora giunto il momento di una periodizzazione della alquanto ricca produzione di Giuseppe Diso, è pur possibile distinguere alcuni tratti salienti del suo segno pittorico.
C’è un duplice modo del tratto/colore, specie nei quadri del 1991, ove la ricerca d’immagine può leggersi secondo una sua certa evoluzione: se Ulivo, Campagna salentina, Roma o la notevole Casa sul mare, comunicano sentori post-impressionistici, i Bastioni a Otranto, Costa salentina, e Il faro, accennano già ad una liberazione del segno che prelude all’energia degli Ulivi e alle opere informali del 1993; o al Paesaggio di costa e al Sentiero al vespro attorno allo stesso periodo. In questo triennio la mano di Diso svela verosimilmente una fase di travaglio, fatta di freddi chiarori lunari, netti stacchi cromatici, pennellate impetuose che nella sintesi sembrano però obbedire ad un loro disegno compiuto: come nei Bagnanti, propedeutici all’ Uomo sulla spiaggia e ad altre “marine”.
© Giuseppe Diso: Copia di Figura (olio su tela, cm 60x100, 2010)
Dal 1995 la tavolozza si coniuga ad uno stile più marcata- mente sobrio: da qui in avanti i paesaggi prendono forma per aree di colore e contiguità sfumate. E’ il caso dei quadri della Galleria “Gagliardi” di S. Gimignano ed anche un po’ di tutte le vedute pre- senti in collezioni private italiane e straniere, fra le quali talune possono annoverarsi come paradigmi della pittura disiana ( La Valle delle Memorie e, soprattutto, La cava di tufo). Forse ancora nel repertorio figurativo permane ancora la traccia di un’esplorazione tormentata del tipo umano: Ritratto di Gino Bove e Ragazzo con la palla costituiscono i termini di un emblematico contrappunto fra momenti dell’essere, istintuale e immediato il primo, accorto e puntuale l’altro, fino a pervenire all’ elegante Figura della memoria e ad Interno.
L’insieme dell’opera qui esposta offre una duplice suggestione al visitatore: che Diso abbia preso a carico l’onere ammirevole di una restaurazione del segno entro un indirizzo di disciplina formale e che, poi, non si esima dal riformulare, attualizzandola e sfrondandola dai rischi di una mistica rievocativa, la temperie crepuscolare. Ma questa pittura, in certi momenti, è così misurata nel suo dosaggio di corposità e rarefazioni da apparirci, al contrario, progressiva, aurorale, e fervida di premesse per gli anni a venire.
Se tuttavia vogliamo tenere conto di ciò che davvero merita attenzioni e giudizio critico nell’arte di Giuseppe Diso, dobbiamo riconoscere che l’archetipo del pittore maturo sta probabilmente a metà strada del suo itinerario artistico, in quel 1994 cioè, allorché nasce il nitido lirismo di Campi che porta dritto al recente La strada del cipresso, autentica meta di ritorni per l’arte del Nostro. Ma ciò che viene prima di questa mostra, anche il fertile materiale degli anni di formazione che può solo in parte trovare spazio nella presente antologica, concorre a pieno titolo a definire il profilo di un artista di merito e di pregio che persegue con coerenza e risultati il proprio fare artistico.
Agosto 1997