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Più figli meno crisi?

Da Pythia
Sull'Avvenire di ieri compare un articolo relativo alla proposta presentata dal cardinal Bagnasco "Il cambiamento demografico": sua Eminenza ritiene che una società senza figli sia destinata a impoverirsi culturalmente e sia diretta verso un suicidio demografico; aggiunge anche che il problema della scarsa natalità è un fatto culturale e non solo economico.
Eminenza eccellentissima, con tutto rispetto: è tanto facile parlare da scapolo, senza alcuna preoccupazione di carattere economico e senza avanzare proposte costruttive per cambiare la situazione, se non "incoraggiare nuovi modelli di solidarietà interfamiliare e intergenerazionale, facendo in modo che i genitori non si sentano abbandonati proprio dalla società che contribuiscono a tenere in vita". Grazie tante, Eminenza, con rispetto parlando.
Quella volta mi hanno detto che avevo "testa" e che avrei dovuto studiare: sono cresciuta con la parabola dei talenti raccontata a mo' di lavaggio del cervello, quindi ho cercato di investire in questo talento. Ho avuto la fortuna di avere dei genitori che mi hanno mantenuta negli anni di studio, anche se talvolta penso che non sia stata proprio una fortuna, e poi spiegherò perché.
Tra un lavoro, un corso e l'Accademia, mi sono laureata a 27 anni: per un anno ho cercato lavoro inerente ai miei studi, invano. Ho quindi preso la decisione di trovare un part-time qualsiasi e proseguire gli studi di specialistica. Le cose non sono andate esattamente come speravo e per motivi indipendenti dalla mia volontà: sta di fatto che ho terminato gli studi a 32 anni. Ormai è passato un anno e ho lavorato, sottopagata, per brevi periodi. Per fortuna ho un marito che qualcosa porta a casa, ma ci basta appena: ci sono sempre i genitori a disposizione ma con che coraggio gli si chiede aiuto, a 33 anni suonati?
Non sono certo una che fa la preziosa, ho risposto ad annunci per lavori che non c'entravano assolutamente con i miei studi, ma si fa: nonostante le mie competenze, nonostante il mio curriculum di tutto rispetto, non ho ricevuto mai risposta.
Così eccomi qui, a lottare con le crisi di maternità e con un orologio biologico che urla il suo tic-tac. Rimpiango di aver ceduto alla tentazione di rinunciare a un lavoro (in libreria!) perché mio padre si è offerto di mantenermi fino alla laurea: ora avrei qualcosa da parte, magari avrei continuato a lavorare, chi lo sa. E invece in mano non ho niente. Le prospettive non sono serene: chi al giorno d'oggi fa un contratto a tempo indeterminato a una donna? Con il rischio che si metta a sfornare figli?
Un figlio non lo puoi fare a progetto, né a tempo determinato: lo fai e te lo devi tenere a vita. Costa metterlo al mondo, costa mantenerlo, costa farlo crescere e studiare.
Non abbiamo grandi pretese, Eminenza: non vestiamo abiti firmati, non andiamo al ristorante, se va bene mangiamo una pizza al mese con gli amici; niente viaggi, se non quella settimana di vacanza una volta l'anno, spendendo il meno possibile, o qualche finesettimana a casa dei suoceri in montagna. 10 euro al mese di telefono non mi sembrano tanti, 20 euro di internet, meno è difficile. La spesa al discount, qualche extra si fa ma niente eccessi. C'è l'affitto da pagare, e le spese, e la benzina che aumenta sempre di più, ma non sempre è possibile lasciare a casa la macchina.
Io sono scoraggiata, Eminenza, e credo di non essere l'unica: viviamo in una società in cui la maternità è una malattia e non è il punto di vista dei potenziali genitori, questo. Lo so anch'io che è necessario un cambiamento, ma non serve a nulla fare bei discorsi, Eminenza. Le parole non aiutano: dette da lei, con tutto rispetto, suonano anche ridicole.

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