Si è chiusa domenica scorsa, a Roma, l’11° Fiera Nazionale della Piccola e Media Editoria, Più libri più liberi, appuntamento ormai tradizionale di fine d’anno che porta alla ribalta i piccoli editori, quelli che in genere non hanno spazio nelle librerie. I dati ufficiali raccontano di un successo: oltre 400 espositori, 60 mila titoli, 280 appuntamenti in fiera, 74 eventi dedicati ai ragazzi, 140 iniziative in 50 luoghi della città (dall’ex cartiera Latina al Parco regionale dell’Appia Antica, alla Biblioteca nazionale alle varie librerie indipendenti cittadine, al Palazzo dei Congressi) con un alternarsi di autori e personaggi del mondo della cultura, dello sport, dello spettacolo, della scienza e della società civile che hanno arricchito un evento che, in questi dieci anni, ha sicuramente rappresentato un appuntamento importante per la cultura e l’editoria italiana.
Una valutazione trionfalistica variamente interpretabile se rapportata con le indicazioni che si ricavavano passeggiando tra gli stand. Non c’è dubbio che sabato e domenica l’affluenza di pubblico abbia consentito agli editori, anche se non a tutti nelle stesse proporzioni, di valutare positiva l’esperienza, quantomeno dal punto di vista del rientro dell’investimento per la partecipazione (che per una piccola-media casa editrice assume nel complesso una rilevanza da non sottovalutare), ma la percezione del momento di crisi del settore, che si aggiunge alla crisi generale e globalizzata che stiamo vivendo, è stata tangibile fin dall’apertura della Fiera.
«Anche questo è un libro» è stato lo slogan ricorrente con cui quest’anno gli organizzatori hanno voluto connotare l’evento. E la comunicazione è passata attraverso una successione di foto di oggetti semplici – una fetta di pane contornato da briciole, un tronco d’albero chiaramente tagliato da un’ascia, alcune maddalene, uno scarafaggio – abbinati ciascuno a un cartellino identificatore con autore e titolo, da Perrault con Pollicino, a Collodi con Pinocchio, a Proust della Recherche, alla Metamorfosi di Kafka: un oggetto semplice, insomma, diventato libro. C’era una volta… – Un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno… Un pezzo di legno che ha sostituito il più classico degli interpreti delle storie del mondo per diventare la favola più letta, quasi rivendicando, senza dirlo, in tempi non sospetti, che «anche questo è un libro».
Con il richiamo alle variegate ispirazioni di altrettante variegate narrazioni, si è voluto alludere a un modo di raccontare e leggere diverso. Questo il tema dichiarato della Fiera che ha molto discusso su come siano cambiati e stiano cambiando i modi di leggere sui nuovi supporti digitali e, di conseguenza come stiano cambiando le scritture, le narrazioni, sempre più integrate e condivise, che spingono gli editori a tener conto di questi nuovi comportamenti nei loro progetti editoriali. Se ne è parlato, per esempio, a una tavola rotonda che ha adottato come titolo, lo slogan della fiera appena citato dove Andrea Angiolini (Il mulino), Georgia Conversi (Elastico App), Lorenzo Fabbri (Gruppo Editoriale l’Espresso – Storiebrevi) hanno presentato tre esperienze editoriali diverse, mirate a target di lettori completamente differenti (universitari, ragazzi, lettori di narrativa), ma che possono trovare un comune denominatore nell’idea del libro che, nel mondo digitale, diventa sempre più un servizio.
Gli editori di :punti edizioni che ogni anno allestiscono il proprio stand con un tema diverso. In questa edizione, vestiti da medici per suggerire la “cura del libro”, da sinistra: Roberto Speziale, Andrea Libero Carbone e Giuseppe Schifani
E il punto è proprio questo. Parlando di nuovi lettori e nuove scritture, constatando l’attestazione dell’ebook in un trend crescente, sia pure ancora di modeste proporzioni rispetto ai fatturati delle case editrici, l’integrazione dei differenti contenuti digitali in funzione di un prodotto editoriale, nuovo e fluido, adatto al web, si finisce inevitabilmente per parlare dell’editore, del suo ruolo, della sua identità. Se anche questo è un libro, chi è l’editore? Qualcuno, tra gli editori, sta provando a riflettere in modo sistematico sulla questione. E’ il caso di :due punti edizioni di Palermo, esperienza originale e di grande qualità:
«Essere editori oggi – si legge in quello che potrebbe essere considerato quasi un manifesto – significa non solo e non tanto fare libri, materiali o immateriali che siano, ma occuparsi della selezione, cura, messa in forma, pubblicazione e diffusione del testo inteso nella sua accezione semiotica più ampia. Il mestiere dell’editore, in questo senso, non è più limitato alla sfera dell’èditeur o del publisher, ma si estende a quella più ampia e diversificata del curatore-editor.
Sollecitato dal digitale a rivedere prodotti, strategie e competenze, incastrato nelle dinamiche di mercato che penalizza la bibliodiversità, attaccato dall’autogestione degli autori (numerosi gli stand dedicati al self publishing), l’editore arranca. Girovagando tra gli stand la sensazione del disagio si percepisce bene. Ci sono specializzazioni caratterizzanti e di qualità, ma l’inclinazione a strizzare l’occhio a mode o tendenze appare sempre più diffusa. Si rincorre un mercato che sembra diventare sempre più asfittico. I numeri sono molto spesso contestabili e contestati sono stati anche durante la Fiera (presentati a cura di Nelsen all’interno di un incontro organizzato dall’AIE su «Quanto vale il pluralismo all’interno di un mercato che sta cambiando»).
Al di là dei numeri, comunque, nei differenti canali distributivi si continuano a registrare cali progressivi e costanti. Le famose Cinquanta sfumature hanno parzialmente addolcito la pillola, ma non sono bastate a correggere un andamento determinato da fattori complessi e combinati (crisi del potere di acquisto, cambiamento nei comportamenti, spostamento dei forti lettori verso il digitale e l’e-book, discutibili strategie di prezzo adottate per far fronte a questi fattori). La “tempesta perfetta” annunciata lo scorso maggio alla Fiera del Libro di Torino sembra essere in piena attività.
Rischiano di essere particolarmente penalizzati i progetti editoriali più innovativi, la ricerca di nuovi autori e di nuove forme di lettura. Si rischia la riduzione del pluralismo e dell’articolazione della proposta editoriale. Per dirla con Giorgio Agamben che ha parlato della “difficoltà di leggere” nell’ambito di una tavola rotonda a partire dal libro di Alfonso Berardinelli Leggere è un rischio (Nottetempo) “si rischia non poter leggere mai i libri che meritavano di essere letti”. Agamben esorta gli editori a smettere di guardare le classifiche dei libri più venduti e a costruire nella loro mente ”una classifica dei libri che esigono di essere letti”. Suggerimento prezioso, ma che rende necessario che i libri, la lettura, l’editoria diventino prioritari nello sviluppo del paese. In occasione della Fiera il sottosegretario per l’Editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri, Paolo Peluffo si è impegnato in prima persona a istituire un tavolo di lavoro interministeriale su questi temi. L’iniziativa è stata accolta da plausi e scetticismo, come sempre succede, ma non si è fatto in tempo a collocarsi tra gli entusiasti o i pessimisti, che la nuova situazione politica ha reso probabilmente illusoria la possibilità di uno sviluppo concreto dell’iniziativa, quantomeno immediato. La tempesta perfetta.
di Antonella Fabbrini
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