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Piume d'Angelo - Capitolo 4 | Qasar

Da Sofiastella84 @Sw3etValent1na

Piume d'Angelo - Capitolo 4 | Qasar

Fonte: http://www.halouniverse.it/

Il sito del Progetto Qasar occupava un'area di cinque chilometri quadrati nel settore meridionale dell'ex-quartiere industriale Enrico Fermi.
Il complesso comprendeva cinque reattori Qasar, di cui tre abbandonati in fase di costruzione e tutte le infrastrutture necessarie al funzionamento del sito come centrale per la produzione di energia termoelettrica a scopo commerciale.
Il progetto aveva visto i natali nel 2159. I primi due reattori Qasar erano stati completati nel 2170 ed erano stati accesi il 16 giugno.
Ciascun reattore era in grado di produrre 1TWe di potenza ed erano stati allacciati alla rete elettrica per la prima volta il 20 giugno dello stesso anno, rimanendo in funzione per soli cinque anni: il 30 giugno del 2175 erano entrati in funzione i primi tre reattori Hadron del nuovo quartiere industriale O'Neill-Nagano; numerose aziende avevano spostato la propria produzione nelle nuove strutture, molte delle centrali a fusione di prima e seconda generazione erano state spente e smantellate, quelle di terza generazione erano in stato di decomissioning; il quartiere Enrico Fermi andava via via spopolandosi.
Il Progetto Qasar non aveva dato i risultati sperati e, di conseguenza, le unità 1 e 2 erano state spente, la costruzione delle unità 3, 4 e 5 congelata, il sito messo in sicurezza con una recinzione metallica alta tre metri e sormontata da filo spinato, quindi abbandonato, gli impianti praticamente intatti.
Ogni reattore, con le sue infrastrutture, si presentava come una serie di edifici di diversa forma, ampiezza e volume, disposti in modo da essere interconnessi tra loro e costituire un'unità.
Il reattore era ospitato all'interno di un edificio di contenimento a pianta circolare. Adiacente alla parete meridionale c'era il locale delle turbine, che proseguiva nel locale degli alternatori, affiancato da una fitta rete di tralicci, a sua volta collegata alla rete di distribuzione.
Accanto alla parete occidentale si trovava il locale degli impianti di refrigerazione, con le sue torri di raffreddamento, mentre dalla parte orientale c'era la palazzina della sala di controllo.
A nord del contenimento si trovavano un bacino artificiale, i locali delle pompe, i generatori d'emergenza e una serie di locali ausiliari.
Nei siti dove avrebbero dovuto sorgere le unità 3, 4 e 5 il contenimento e i locali delle infrastrutture erano stati completati solo parzialmente e vi si trovavano ancora le gru.
L'unico altro edificio di cui era stata ultimata la costruzione era quello dell'Amministrazione, un grande palazzo a due ali dal design avveniristico, che, nel progetto, avrebbe dovuto essere attorniato da un parco con aiuole, alberi, sentieri e una fontana; ma tutto questo era rimasto sulla carta. L'edificio era discosto dai reattori ed era localizzato a nord-ovest del sito.
Dalle info dell'intelligence della Federazione, Alex sapeva che l'OSF aveva installato il suo QG nell'edificio dell'Amministrazione e che aveva riattivato i reattori 1 e 2.
Alex richiamò una vista dell'edificio amministrativo. Le luci erano spente e sembrava abbandonato.
"Esegui una scansione dell'area con gli scanner a lungo raggio" le ordinò Sieg.
Alex eseguì.  L'unica attività rilevabile proveniva dall'unità 1. Il reattore era in funzione.
"Non c'è nessuno, qui, ma il reattore è acceso."
"I sensori non restituiscono alcun segno di attività umana nel complesso?"
"Pare che non ci siano nemmeno droni sentinella."
"Che mi dici del cannone Mjollnir?"
Alex si mordicchiò un labbro.
"Non c'è nessun cannone Mjollnir, Sieg."
Sieg non replicò. Seguì un momento di silenzio. Alex si torse le mani e riprese a parlare.
"L'organizzazione per cui lavoro ha fornito alla Federazione informazioni false. Il cannone non c'è...non c'è mai stato. La mia missione non consiste nel disattivare questa arma inesistente."
"Quale sarebbe la tua missione?"
"Far esplodere il reattore. Trasformare questo pianeta in una supernova e poi in un buco nero."
"Potrei ucciderti per le informazioni che mi hai dato. Dunque non sei delle Forze Speciali?"
"Non lavoro nemmeno per la Federazione."
"Sei una spia dell'OSF?"
"L'OSF non trarrebbe alcun vantaggio dal cancellare questo pianeta dalle carte stellari."
"Per chi lavori?"
"Nemmeno tu lavori per la Federazione, Sieg."
"Come fai a saperlo?"
"Il phase transfer system del tuo aGear. La Federazione non è dotata di questa tecnologia. Senza contare il fatto che gli androidi federali sono sprovvisti di personalità artificiale e possono solo eseguire gli ordini, in base a una serie di routine e subroutine rudimentali e predefinite. Non possiedono un'intelligenza creativa o alcun tipo di capacità adattiva o mimetica. E poi c'è il Lohengrin. Anche se lo scafo porta i colori e lo stemma della Federazione, dubito che si tratti di una nave federale. Non ho visto molto. Sono stata scortata alla sala briefing da due sentinelle. Ma quel poco che ho visto degli interni della nave ha confermato il mio sospetto."
"Non mi hai detto per chi lavori."
"Non per la Federazione."
"Non lo sai?"
"Mi porterai a destinazione?"
"Vuoi spegnere il reattore?"
"È ciò che intendo fare."
Eriko fu sbarcata, assieme ad altri profughi che avevano viaggiato con lei, su una nave da trasporto chiamata Brynhildr. Vennero accolti dall'ufficiale di guardia e da due marinai semplici.
L'ufficiale di guardia, sulla trentina, alto, corporatura robusta, una zazzera di capelli rossi e il volto tempestato di efelidi, dal carattere sbrigativo ma non brusco, gli fece le domande di routine e poi controllò che i loro profili corrispondessero a quanto visualizzato sul display liquido del suo hPad.
I due marinai semplici erano un ragazzo e una ragazza che potevano avere diciassette anni.
La ragazza era molto carina, esile, di corporatura media, con i capelli neri corti e gli occhi azzurri. Si dimostrò gentile e premurosa, nel distribuire coperte e una bevanda al cioccolato.
Il ragazzo era alto e snello, capelli biondo scuro, occhi nocciola su un volto pallido. Era nervoso, ma non voleva essere da meno della sua collega e dominò l'ansia dimostrando sangue freddo.
Dopo aver sbrigato le procedure d'accoglienza, l'ufficiale di guardia affidò ai due marinai il compito di scortare i profughi nelle loro cabine.
In tutto, Eriko e gli sfollati che avevano viaggiato con lei, saranno stati una ventina.
Si trattava più che altro di ragazzi tra i sedici e i vent'anni e di giovani mamme con i bambini.
Furono divisi in due gruppi più piccoli, affidati al ragazzo e alla ragazza.
I due giovani li condussero al ponte degli alloggi, dove a Eriko venne assegnata una cabina tutta sua. Non era mai stata su una nave militare e si stupì dell'ampiezza della cabina e della maniera raffinata ma funzionale con cui era stata arredata: il letto era a una piazza e mezzo, affiancato da un comodino, con una lampada da notte al neon ricombinante, che cambiava forma in base alle condizioni di luce; ora aveva la forma di un infinito dai colori vivaci e cangianti, ma quando abbassò la luce, si trasformò in un ottaedro che ruotava lentamente dal blu, al violetto, all'azzurro, in un loop che sarebbe durato finché non avesse cambiato di nuovo forma; una parete era interamente occupata da una vetrata; sotto la vetrata si trovava un divano; la parete di fianco alla vetrata, opposta rispetto a quella in cui si trovavano il letto e il comodino, era occupata da una scrivania a isola con la sua sedia, un modello imbottito da ufficio; parte del piano della scrivania era occupato da una console touch che fungeva da terminale per collegarsi al computer di bordo.
Tra il letto e la vetrata c'era un armadio a parete e accanto alla porta della cabina si apriva quella del bagno, con i sanitari in ceramica, una vasca da bagno, una doccia e l'acqua corrente.
La biancheria da letto, la fodera del divano e della sedia erano blu.
Il pavimento era rivestito da una moquette grigio antracite e il mobilio era color acciaio chiaro.
Eriko non si era aspettata che la cabina di una nave da guerra potesse essere tanto confortevole.
Un cicalino l'avvertì che stavano suonando alla porta.
"Posso entrare?" chiese una voce femminile, all'interfono.
La porta non era bloccata e la ragazza che aveva scortato Eriko sul ponte degli alloggi entrò con un cambio di biancheria e di vestiti.
"Ho pensato che potesse farti piacere. Di solito serviamo la cena nella sala mensa alle sette in punto, ma per questa volta faremo un'eccezione. Un ausiliario verrà a portarti un vassoio con la cena, più tardi. Il cuoco vuole sapere se hai qualche preferenza particolare o se hai delle allergie."
"Preferenze?"
Era strano, trovarsi a bordo di una nave militare ed essere trattata come fosse al grand hotel.
"Hm. Magari... una cena leggera? E un po' di frutta?"
La ragazza lasciò i vestiti sul letto.
"Sono della mia taglia, quindi a te saranno un po' grandi, ma non c'è nessuno che abbia la tua stessa corporatura, a bordo."
Raggiunse la porta.
"A-aspetta!" la richiamò Eriko. "Vorrei guardare la tv..."
"Oh, ti faccio vedere come si fa ad accenderla e a sintonizzarsi!"
Sieg fece atterrare l'aGear davanti all'ingresso della palazzina della sala controllo.
Non si aspettavano alcun tipo di resistenza e non ne trovarono. Il perimetro era deserto.
Sieg sollevò un sopracciglio e assunse un'aria interrogativa.
"Per quale motivo prendersi il disturbo di riattivare un reattore in un sito che nessuno usa?"
"L'OSF ha effettivamente utilizzato questo sito, almeno fino a questo pomeriggio."
Scesero dall'aGear e raggiunsero l'ingresso della palazzina. Alex trasse un cacciavite sonico da una tasca della mimetica e armeggiò attorno alla piastra dello scanner. La rimosse e maneggiò i fili che l'alimentavano finché le doppie porte a scorrimento non si aprirono con un sibilo idraulico.
Entrarono e si ritrovarono in una hall deserta, con un soffitto a lucernario dal quale entrava la luce lattiginosa delle due lune, che rischiarava il banco semicircolare della reception coperto da un telo di nylon, sul quale si erano depositate almeno due dita di polvere.
Anche le poltroncine da ufficio dietro il banco e i divanetti d'arredamento erano protetti da nylon. Una scalinata portava al primo piano, dove si trovavano gli spogliatoi del personale con le docce e la sala di controllo.
Salirono al piano superiore, dove Alex rimosse il set di scanner che regolavano l'accesso alla sala.
All'interno, le apparecchiature erano accese e l'ologramma tridimensionale al centro mostrava lo schema semplificato del nocciolo, colorato di blu, a indicare che l'attività nel nucleo era stabile. L'ologramma era attorniato da una console circolare con comandi touch.
Un maxischermo sulla parete di fondo mostrava l'interno della camera del nocciolo.
Lungo le altre pareti una serie di schermi più piccoli, disposti in colonna, riportavano varie letture.
"Ma lo sai quello che fai?" le chiese Sieg, scettico.
"Hacking, data mining, reverse engineering, sono stata addestrata a violare i computer e ad alterare i programmi. Queste apparecchiature sono vecchie di cinquant'anni. Il processore quantico non era ancora stato inventato. Utilizzano la tecnologia migliore che esisteva all'epoca, ma con le conoscenze che abbiamo i protocolli di sicurezza sono facili da aggirare."
Alex trasse il miniPhone e lo utilizzò per analizzare il sistema con un programma di scansione. Non le fu difficile scoprire una serie di vulnerabilità, che risultarono subito evidenti, dal momento che il gap di tecnologia tra lo scanner installato sul miniPhone e il sistema di controllo del reattore era notevole. Quand'ebbe finito di studiare il sistema e le sue vulnerabilità, compose un trojan sull'hPad, lo trasferì nel sistema e ottenne i permessi di amministratore. Riposti miniPhone e hPad, si trasferì sulla console.
Sieg l'osservò con un certo interesse. Si muoveva con agilità e naturalezza su quell'apparecchiatura vecchia di cinquant'anni. Persino gli ingegneri dell'OSF che avevano riattivato il reattore, dovevano averci messo mesi a capire come funzionavano quelle tecnologie obsolete.
Alex attivò le procedure per rallentare l'attività nel nucleo e portarlo allo stato di safe shutdown, ma si accorse del daemon quiescente solo nel momento in cui l'attivò. Il daemon sovrascrisse la sua autorizzazione d'accesso, riaccese il nucleo, lo portò all'output nominale, disattivò tutti i protocolli di sicurezza e rilasciò un virus che distrusse il sistema operativo in modo irreparabile.
"No!"
Alex gridò e colpì con violenza la console con entrambe le mani. Sieg si allarmò.
"Cosa succede?"
"Mi ha buttato fuori dal sistema! Ha riattivato il nocciolo! Ha distrutto il programma!"
Qualcosa nel petto di Alex si ruppe. Avvertì un fortissimo dolore dietro lo sterno, che s'irradiò alla spalla, al braccio e alla mano sinistra. Respirare diventò difficoltoso. Cadde in ginocchio. Il buio l'avvolse e perse conoscenza.

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