Magazine Diario personale
"Per quanto tempo ancora hai intenzione di nasconderti qui?"
"Per il tempo necessario" mugolò Alex, da sotto la coperta.
Sarah sospirò.
"Alex..."
"Non ho voglia di tornare là fuori. Ne ho avuto abbastanza!"
"Ne hai avuto abbastanza?"
"Vacci tu là fuori, visto che sei tanto ansiosa di liberarti di me! Lasciami dormire!"
Sarah emise un grugnito di frustrazione, marciò nella stanza e spalancò la finestra.
Il flash viola di una saetta squarciò il cielo ricoperto di nubi e il ruggito del tuono fece tremare i muri.
"Sono stufa di averti qui! Da quando sei arrivata il cielo è sempre coperto e piovono saette. Io vorrei mettermi sul dondolo in giardino a leggere! Come faccio con questa cacofonia?!"
"Gioca all'HoloStation. Ne hai una nuova di zecca giù in soggiorno."
"Non è questo il punto!"
Sarah si accostò al letto e tirò via le coperte. Afferrò Alex per un braccio e la costrinse a mettersi seduta.
"Bene! Adesso svegliati!"
Alex si afflosciò di nuovo sul letto.
"Ho detto che non ne ho voglia."
"Basta capricci!"
"Non ho nessuna intenzione di risvegliarmi dal coma! Il mondo reale è una fogna! Non ci voglio tornare!"
Sarah le mollò uno schiaffo in pieno viso.
"Smettila di fare i capricci! Non sei più una bambina! Assumiti le tue responsabilità!"
Alex reagì.
"Le mie responsabilità? Credi che sia stato facile crescere accanto a una sorella che non ricordava niente, neppure come si fa a parlare e camminare? Affezionarmi a genitori che fino a un mese prima erano ricercatori dell'Istituto in cui siamo state create e che ci consideravano alla stregua di cavie? Recitare la commedia della brava bambina, della sorella amorevole, mentre ero lacerata dentro?"
Alex crollò di nuovo sul letto. Sarah si addolcì e sedette accanto a lei. Le carezzò la schiena.
"Serafina si fidava del dott. Ratatosk. Te lo ricordi? Cosa ci disse prima di lasciare l'istituto?"
"Se mai avrete bisogno di aiuto rivolgetevi al dott. Ratatosk. Ma lui è morto e i suoi figli... Possiamo davvero fidarci di loro?"
"Non lo scoprirai mai se resti qui."
"Quanto tempo è passato?"
"Un mese, un giorno e dodici ore."
"Non sono pronta."
"Sì che lo sei."
Sarah la tirò in piedi e la sospinse verso la porta aperta sull'esterno, sul mondo reale.
Tornare alla coscienza fu come risvegliarsi gradualmente da un sogno.
Sarah che sorrideva, il cielo che tornava a splendere fuori dalla finestra, la stanza che svaniva a poco a poco...
Alex si concesse un momento per indugiare nello stato di torpore che accompagna il primo risveglio, poi, con fatica, si mise a sedere sul letto. Sentì tirare e una sensazione di dolore bruciante esplose nell'incavo del gomito del suo braccio destro, dov'era fissato l'ago della flebo.
Rimosso l'ago, si liberò anche della molletta-sensore che trasmetteva i suoi segni vitali all'oloschermo incastonato nella testiera del letto. Spostò le gambe giù dal materasso.
Il computer, a quel punto, accese la luce, rilevando che era sveglia e non più in stato comatoso.
Alex scese con cautela dal letto e saggiò la tenuta delle sue gambe. Abbassò lo sguardo sul suo corpo e vide che indossava un sobrio pigiama azzurro e un paio di calzini.
Il suo corpo profumava di bagnoschiuma e il pigiama sapeva di bucato.
Si passò una mano tra i capelli corti. Erano tornati del loro colore?
Esplorò la stanza. Le pareti e il soffitto erano dipinti di rosa antico. Il pavimento di parquet biondo. Il mobilio era in legno grezzo di pino, il design semplice e funzionale. Solo il letto non sembrava appartenere all'arredamento originario della camera e proveniva, molto probabilmente, da un clinica o un ospedale. C'era una tendina di lino bianco alla finestra. Le saracinesche erano accostate.
Andò alla finestra, aprì i vetri e poi le saracinesche. La stanza guardava su un giardinetto molto curato, arredato con un gazebo, sotto al quale si trovava, molto probabilmente, un tavolo da giardino con le sue sedie. Oltre la staccionata, un panorama suburbano. Forse un quartiere residenziale. Stava scendendo la sera e l'arancione andava spegnendosi nel viola del crepuscolo.
Il suo ospite era in casa?
Alex guardò nell'armadio. Il suo ospite si era premurato di fornirle un cambio d'abiti e di biancheria. Scelse una tuta con la casacca pervinca e i pantaloni grigi. Nella scarpiera trovò un paio di pantofole.
Era incerta sulle gambe e si sentiva debole per la lunga permanenza a letto. Quando raggiunse la porta fu colta da un lieve capogiro. Attese un momento e, passato il malessere, uscì in corridoio. Non era molto lungo. Il pavimento era di parquet e le porte delle camere si aprivano su entrambi i lati. Oltre alla sua stanza, c'erano altre tre porte chiuse, per un totale di cinque stanze, probabilmente altre due camere e un bagno. Una scala metteva in comunicazione le camere con la zona giorno.
Dalle dimensioni del corridoio e la distribuzione delle stanze, Alex pensò che si trattasse di una villetta a schiera. Una residenza privata, in ogni caso.
Scese al piano di sotto. Il soggiorno era un open space illuminato da una grande vetrata, arredato in modo sobrio ma funzionale, con mobili di design. La cucina si apriva accanto alla scala, un ampio locale con i mobili in laminato bianco e un semplice tavolo con quattro sedie.
La scala proseguiva nel seminterrato, dove si trovavano un bagno-lavanderia e una taverna.
Alex tornò in cucina e guardò nella dispensa e nel frigo. Merendine, biscotti, cracker, latte, yogurt e succhi di frutta. C'era l'imbarazzo della scelta, ma un bip l'avvertì che stava per rientrare il padrone di casa: era il segnale emesso dal computer, che aveva appena verificato il codice sull'eKey.
Rifletté un momento sul da farsi e decise di farsi trovare seduta al tavolo del soggiorno.
"Oh, fratellone, si è svegliata!"
La prima a entrare fu una bambina con i capelli rossi, gli occhi verdi, la pelle chiarissima e il volto tempestato di lentiggini, dolcissima nel suo cappotto blu, dal quale spuntavano le pieghe della gonna, abbinato a un berretto e a un paio di scarponcini in tinta, con una sciarpa di lana rosa annodata a mo' di fiocco intorno al collo.
Il fratello comparve subito dietro di lei, con le braccia cariche di sporte per la spesa.
Era alto, magro, anche lui rosso di capelli e con gli occhi verdi, abbigliato con un lungo cappotto di pelle nera, jeans e stivali in tinta.
"Buongiorno, principessa, anche se sono le sette di sera, ora locale" salutò lui.
Lasciò le sporte in cucina e tornò in soggiorno.
"Hai fame? Mia sorella e io stavamo giusto per cenare."
Alex non replicò.
"Perdonaci. Non ci siamo ancora presentati. Il mio nome è Volsung Ratatosk e lei è la mia sorellina, Brunhilde, ma ci facciamo chiamare Joshua e Camilla, anche se mia sorella preferisce Milla; e tu, come ti chiami?"
"Alex."
"C'è qualcosa di particolare che ti piacerebbe mangiare, Alex?"
Alex gli restituì un'occhiata interrogativa.
"Io e Milla pensavamo di farci un'omelette al formaggio con un contorno di verdure saltate alla napoletana. Ma tu ti sei appena svegliata. Magari preferisci qualcosa di più leggero, o di dolce?"
Alex era in imbarazzo. Quel ragazzo e la bambina la conoscevano, per quanto si possa conoscere una persona che è stata in coma apparente per un mese e si comportavano come se fosse un'amica o qualcuno di famiglia.
Alex, al contrario, non aveva la più pallida idea di chi fossero, nonostante la famiglia Ratatosk fosse piuttosto famosa, soprattutto il capofamiglia, Sigmund, presidente e amministratore unico della Fondazione Asgard.
"Qui... questa... è la Fondazione Asgard?" chiese, impacciata.
"Ti trovi nel territorio della Fondazione, ma questa è una residenza privata" rispose il ragazzo.
Il suo sorriso era caldo e gentile.
Alex avvertì una sensazione come di farfalle nello stomaco.
Era bellissimo. Il pullover attillato lasciava intravedere le forme toniche dei pettorali e delle braccia.
Eppure non aveva un fisico da bodybuilder; era piuttosto snello e longilineo.
La sua zazzera rossa risplendeva come un'aureola nella luce artificiale.
"Sei nostra ospite, non nostra prigioniera. Il tuo altre ego, Sarah, ci ha fatto richiesta d'asilo e noi l'abbiamo accolta. Finché resterai nel territorio della Fondazione, sarai al sicuro. Ma ora che sei sveglia, Sigmund e Tabatha vorranno parlarti. Ti abbiamo fatto un esame del DNA e sappiamo che sei come noi, anche se il tuo materiale genetico è stato fornito da altri donatori. Di quale progetto facevi parte?"
Alex valutò se mentire o dire la verità. Optò per la seconda opzione.
"Metatron. Il nostro designer si chiamava Serafina. Era in contatto con il dott. Ratatosk, vostro padre e si fidava di lui. Prima di morire... mi ha detto che se mai fossi stata nei guai, avrei dovuto rivolgermi a Emilio. Ma vostro padre è morto... Posso davvero fidarmi di voi?"
"Non abbiamo nessuna ragione di farti del male e non sarebbe nel nostro interesse. Qui sei al sicuro. Sarah aveva promesso a Sieg delle informazioni in cambio della richiesta d'asilo, ma non ti costringeremo a darcele se non vorrai. Se deciderai di lasciarti il passato alle spalle, ti troveremo un lavoro qui alla Fondazione."
"Non potrò mai lasciare la Fondazione?"
"Avrai bisogno di una nuova identità. Noi possiamo fornirtene una, ma fino ad allora non dovrai lasciare la Fondazione. Il motivo, mi pare ovvio. Allora, cosa vorresti mangiare?"
"Fareste... davvero... tutto questo per me? Mi dareste un nuovo nome... una nuova vita?"
Lo stomaco di Alex la tradì con un sonoro brontolio. Joshua rise.
"Allora, omelette al formaggio con contorno di verdure saltate alla napoletana, o pancakes affogate nello sciroppo d'acero?"
"Direi... pancakes."
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