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Pivot to Asia, versione “War will be inevitable”

Creato il 26 maggio 2015 da Danemblog @danemblog
(Pubblicato su Formiche)
I cinesi hanno avvisato gli americani di non immischiarsi nelle loro dispute territoriali, altrimenti «la guerra sarà inevitabile» (è quello che esce da un editoriale di lunedì del Global Times, media nazionalista di proprietà del Quotidiano del Popolo, l’organo di informazione ufficiale del Partito comunista cinese) ─ del rischio di una guerra aveva parlato anche il vicesegretario di Stato Tony Blinken in visita tempo fa a Jakarta.
Alla faccia del "Pivot to Asia", definizione coniata dopo che il "primo" Obama mirava a riposizionare in Asia la centralità strategica che stava via via togliendo al Medio Oriente: privilegiare la pragmatica economica asiatica all'ideologico impegno militare mediorientale. Ora, il "secondo" Obama in Medio Oriente fa la guerra, e in Asia gli dicono di non immischiarsi altrimenti guerra sarà.
La questione gira tutta intorno, ancora, a quel grappolo di terre in mezzo al mare (le più famose sono le isole Senkaku, Diaoyu per i cinesi, ma ce ne sono anche delle altre): disabitati isolotti a nord est di Taiwan, i cui fondali sono ricchi di risorse naturali (anche l’Eni è in pista, in un’area più tranquilla del Vietnam, per estrarre il petrolio del Mar Cinese), le acque hanno un valore significativo dal punto di vista delle rotte commerciali; e ormai quei luoghi di valore ne hanno acquisito anche uno simbolico, di autorevolezza geopolitica.
La scorsa settimana la Marina militare cinese ha inviato otto avvisi di rientro a un aereo da osservazione P8-A Poseidon, dopo che è stato avvistato sorvolare la catena di isole artificiali all’interno dell’arcipelago delle Spartly, che Pechino sta costruendo per rafforzare la propria presenza e creare deterrenza ─ anche se non più tardi di martedì, il portavoce del ministero della Difesa cinese ha detto che “l’appoggio militare” è lo scopo di minore importanza dietro alla costruzione delle isole, che saranno fondamentali per ricerche meteorologiche e oceanografiche, per la tutela ambientale e per servizi alla pesca: qualcosa che insomma, parole del Ministero, servirà più alla comunità internazionale che alla Cina. La prepotenza mostrata dai cinesi, che rivendicano il ruolo di Potenza dell’area, ha creato preoccupazione in Vietnam e Filippine, due alleati statunitensi tra i Paesi che si contendo la proprietà delle isole. Voltaire Gazmin, il ministro della Difesa filippino, ha incontrato l’omologo americano alle Hawaii la scorsa settimana, per chiedere una maggiore presenza statunitense nell’area del Mar Cinese Meridionale. A metà maggio il Wall Street Journal scriveva della possibilità che gli Stati Uniti inviassero navi a dodici miglia dalle acque territoriali cinesi e missioni continue di pattugliamento aereo, per garantire la sicurezza della navigazione.
Citato da Reuters, il portavoce del ministro degli Esteri cinesi ha definito l’intensificarsi della presenza USA, soprattutto dal cielo, «un atteggiamento provocatorio». Ma l’aumento delle ore di volo nell’area, è conseguenza di una relazione fatta dal Pentagono al Congresso all’inizio di questo mese, in cui si definiva la Cina una minaccia per la pace e la stabilità regionale e internazionale.
A bordo del Poesidon “incriminato” c’era anche Jim Sciutto, reporter che si occupa della sicurezza nazionale alla CNN. Il video e l’audio del servizio sono andati in onda, così che l’Amministrazione americana ha potuto mostrare ai suoi cittadini la pericolosità cinese nella regione attraverso i ripetuti messaggi intimidatori lanciati dalle navi di Pechino all’aereo americano.
Le isole Spartly ─ arcipelago nel Mar Cinese Meridionale che si trova sul 10° parallelo, conteso militarmente tra Cina, Vietnam, Malesia, Filippine, Brunei e Taiwan ─ hanno visto incrementare la propria superficie di otto chilometri quadrati negli ultimi due anni (c’è un’infografica dell’Asia Maritime Trasparency Initiative molto utile, perché spiega questi passaggi costruttivi). Le immagini trasmesse da Sciutto non sono una novità per gli osservatori: qualche giorno prima il quotidiano vietnamita Thanh Nien ne aveva diffuse di simili (segnalate in Italia dal Foglio). Si vedono dei nuovi grossi edifici bianchi, mentre ormai tutti gli analisti sono concordi nel dire che non si tratta soltanto di trivelle (che la Cina aveva posizionato iniziando le ricerche petrolifere nel 2012, dichiarando unilateralmente la propria supremazia nell’intera area), ma di una base militare con piste d’atterraggio e punti di approdo.
Non era mai successo che il Pentagono permettesse a un giornalista di diffondere contenuti media di una missione di osservazione segreta. La guerra non è “inevitabile”, la guerra è già iniziata, e per il momento si combatte a suon di propaganda: da una parte le minacce del Global Post, organo del governo cinese, dall’altra il reportage della CNN, autorizzato dall’Ammnistrazione USA.


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