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Pixar: 25 Anni in Mostra

Creato il 21 febbraio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il febbraio 21, 2012 | CINEMA | Autore: Andrea Lupo

Pixar: 25 Anni in MostraSe Steve Jobs ha giustamente meritato l’appellativo di genio creativo del XXI secolo il motivo non è solo da ascrivere al fatto di avere guidato in maniera formidabile la Apple o di essere stato l’artefice dei vari iPhone e iPad. Il genio della Silicon Valley infatti non si limitò soltanto a definire la generazione del nuovo millennio sotto il profilo informatico e, soprattutto, sociologico ma ne ha segnato profondamente anche l’immaginario culturale attraverso la creazione e il consolidamento di quel sogno industriale ed artistico chiamato Pixar. Fu proprio lui ad intuire, nei non sospetti anni ’80, le potenzialità di una piccola divisione della Lucasfilm che si occupava di animazione digitale e quindi ad acquistarla dal papà di Star Wars per “soli” dieci milioni di dollari, rendendola indipendente quel tanto che bastava per catapultarla nella storia nel corso del decennio successivo. L’accordo siglato con la Disney ratificò ulteriormente l’attitudine artistica e “pionieristica” di questa nuova avventura digitale anche se nessuno all’epoca avrebbe mai sospettato che sarebbe stata proprio la Pixar a portare nuova linfa creativa all’industria di papà Walt, arenatasi dopo l’esplosione cosiddetta neo-classica dei musical animati degli anni ’90. Era il 1995 quando “Toy Story” fece il suo primo ingresso nelle sale fra lo scetticismo dei conservatori e il consenso dei nuovi piccoli, lungometraggio-chiave (e simbolo) destinato ad “impattare” contro l’inconfutabile superiorità del disegno animato a mano. Ma se Woody e Buzz non hanno mai osato mettere in discussione il primato storico o il solido referente culturale fatto di nani e principesse, è pur vero che queste nuove “tate”, giocattoli umanizzati alle prese con problemi e nevrosi che ci riguardano tutti, si rivolgevano con tale franchezza a tutti i bambini da rendersi già disneyani nell’approccio, nonostante per caratteri e spigliatezza i protagonisti di questo primo capolavoro ammiccassero inequivocabilmente al mondo adulto.

Pixar: 25 Anni in Mostra

Il resto è storia o meglio puro mito, giunto fino ad oggi intatto nella sua filosofia di fondo, servo (inevitabile) del solito merchandise ma ancora orgogliosamente ancorato ad un’idea di arte che, quand’anche non miri a competere con quella manuale, anche perché figlia della “fredda” tecnologia, attinge pur sempre al medesimo bacino dei sogni. Un nome, Pixar, che ingloba sportivamente l’elemento primario della CGI solo per andare oltre la stessa computer grafica. Il perché di una mostra come quella che ha interessato il PAC di Milano per quasi tre mesi, dopo un tour internazionale partito dal prestigioso MoMA di New York, risiede proprio nella radice “artistica” del fenomeno Pixar, il cui portato non si riduce semplicemente ad avanzata elaborazione tecnologica delle immagini ma coinvolge le regioni profonde dell’umana espressività.

Pixar: 25 Anni in Mostra

«L’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte» ha detto John Lasseter, co-fondatore della casa insieme a Steve Jobs, e non potrebbe esservi dichiarazione di intenti più chiara per spiegare il miracoloso connubio fra pennelli e software di cui gli stessi sono stati responsabili per ben 25 anni. Un matrimonio reso possibile grazie al persistere di un ingrediente indispensabile: l’idea. Proprio come quella che accende la lampadina Luxo Jr. nel primo corto animato che ha dato origine al logo ufficiale della casa di produzione, introducendo in seguito capolavori piccoli (come le due dozzine di corti straordinari) e grandi (i 12 lungometraggi realizzati più Brave in arrivo). “Pixar 25 anni di animazione” si propone essenzialmente come mostra d’arte ma si offre anche come un dietro le quinte colto ed accessibile fatto di bozzetti, layout preparatori sullo sviluppo dei personaggi e sensazionali colorscript che ricreano, come fosse uno storyboard senza protagonisti, l’atmosfera emotiva del film attraverso l’uso dei soli colori (mirabile quello realizzato per Toy Story 3).

Pixar: 25 Anni in Mostra

Più di 500 opere fra disegni e sculture (anche non definitive) solo per comprovare una verità, e cioè che prima dei pixel fissati dopo ore e ore di rendering 3D conta essenzialmente che storie e personaggi nascano sinceri e spontanei dentro il cuore di chi li progetta. Alla tastiera del PC spetta il compito di sintetizzare definitivamente questi piccoli miracoli creati dall’uomo, non viceversa. Un percorso che si snoda in modo museale ma solo formalmente perché le tavole stavolta non servono a raccontarci le storie ma a dipanare meglio quelle già conosciute, conferendo a personaggi ormai “umani” un calore diverso da quello già emerso dal digitale. Provoca quindi una certa commozione scorgere dentro i tanti bozzetti esposti quei segni a matita che hanno reso progressivamente più tenero lo sguardo del robot più dolce di sempre (WALL-E) o rivivere le avventure del terzo capitolo di Toy Story dentro i colori pastellati di un vecchio libro di fiabe.

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E Gli incredibili appare avventura ancora più sensazionale e colma di amore cinefilo quando viene ripercorsa attraverso i dipinti digitali stilizzati di Lou Romano che strizzano l’occhio agli anni ’60 e a James Bond. Lacrime d’obbligo quando si ripercorre l’intenso e straziante prologo di Up attraverso uno storyboard a fumetti. La cifra stilistica ed emotiva di questo ennesimo capolavoro è racchiusa tutta qui; il resto, dal vecchio Carl allo scout Russell fino all’esilarante beccaccino o al mitico cane parlante, viene evocato attraverso sculture che vorremmo subito diventassero reali solo per accompagnarci durante il resto del viaggio. I bozzetti con le creature di Monsters & Co. e le tavole con gli sfondi parigini di Ratatouille ci riportano alla memoria altri due sensazionali capi d’opera con cui questa fabbrica di sogni digitale ha saputo diversamente interpretare due momenti chiave della vita umana: l’infanzia come territorio su cui si affrontano incubi (e diventare amici dei mostri è un po’ come superarli) e l’età adulta come stagione delle scelte (e quindi della realizzazione dei propri sogni).

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L’ardito accostamento fra tematiche dal mondo adulto e soavità infantile dell’approccio rende così le opere della Pixar molto più di un divertimento indirizzato a target giovanili e il cui valore va oltre l’innegabile significato pedagogico; nemmeno in un libro potrebbe trovare spazio la mole di richiami, tematiche e chiavi di lettura così bene condensati in gioielli di simile perfezione. Un linguaggio universale che non ha mancato di stregare perfino un maestro dell’animazione orientale come Miyazaki; non a caso la Pixar sembra essere, pur con le dovute “correzioni” dettate dall’industria, il corrispettivo occidentale dello Studio Ghibli con cui condivide, se non i temi, almeno la medesima coerenza stilistica e la maturità espressiva. A riprova di una filosofia che mira a coniugare classicismo e sperimentazione, anche la mostra non manca di importanti momenti interattivi. Tra installazioni che ricostruiscono cronologicamente la storia di questa factory, documentari e momenti di partecipazione per i più piccoli (comprese le sessioni con alcuni artisti che illustrano trucchi e retroscena dei personaggi più noti) vale la pena citare le due che hanno maggiormente incantato i visitatori.

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Il primo, lo zootropio di Toy Story, non è che una versione aggiornata del vecchio dispositivo nato nel 1864 per creare l’illusione del movimento mediante la rotazione di immagini statiche collocate all’interno di un cilindro; solo che al posto delle immagini oggi ci sono le maquette, figure tridimensionali dei protagonisti ciascuna “bloccata” in una specifica posa. Quando la macchina si avvia con la rotazione e l’occhio inizia a percepire le singole immagini come un unico movimento continuo ecco che inizia la meraviglia: Buzz, Woody e tutti gli amici si animano producendosi in movimenti degni di un caleidoscopico Luna Park. Tra gli “ooh” di stupore di bambini ed adulti fa ancora più sensazione vedere come le fotocamere di oggi cercano di catturare la magia di una macchina che ha più di un secolo; in molti infatti non lo sanno che i principi base dell’animazione sono tutti racchiusi in questo cilindro.

Pixar: 25 Anni in Mostra

Ma il culmine è rappresentato probabilmente dalla splendida artscape installazione cinematografica digitale che immerge lo spettatore in una simulazione animata in 3D senza però il carico dei fastidiosi occhialini. Rigorosamente seduti a terra, grandi e piccini vengono condotti attraverso un viaggio unico dentro il cuore del processo creativo Pixar; è qui che tutta l’arte concettuale vista in esposizione prende nuova vita mentre le immagini si intrecciano coi suoni senza soluzione di continuità. 15 straordinari minuti in cui tavole, bozzetti, layout e tutta l’arte bidimensionale viene “esplorata” in un movimento tridimensionale mentre l’occhio dell’osservatore si “perde” letteralmente dentro i dettagli di ogni lavoro preparatorio.

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Un’esperienza sensoriale che è specchio di quella creativa e in cui, fra stili che mutano (dalla tempera al carboncino, dai pastelli alla china) e suoni che si intersecano è possibile abbandonarsi agli spazi siderali di Wall-E o annullarsi nei canyon sterminati di Cars prima di immergersi nei fondali acquerellati di Nemo e riemergere nella radura sonnacchiosa di A Bug’s Life. È questo il momento più alto e quasi metaforico dell’intera mostra. Gli artisti della Pixar, da audaci innovatori del linguaggio visivo quali sono, sembrano volerci suggerire che, specialmente in un’epoca in cui il nostro rapporto con le immagini è sempre in costante divenire, non può sussistere innovazione tecnologica significativa laddove difetti un’anima autentica.

Pixar: 25 Anni in Mostra

La fascinazione che ci accompagna mentre assistiamo alle avventure di insetti, giocattoli e macchine (quasi una nuova forma di “antropomorfizzazione” speculare a quella disneyana degli anni d’oro) è dunque figlia di questo sentire globale. Alla fine di un percorso in cui si intrecciano arte, avanguardia e tecnologia ciò che più resta impressa è la filosofia di questa nuova cultura digitale che non può prescindere dall’uomo e che dell’uomo ha avuto (e avrà) sempre bisogno per poter spiccare il volo… verso l’infinito e oltre.

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