La buona narrazione è fatta di momenti inattesi. Un’ottima narrazione è fatta di questi e di poesia.
Il momento più bello da tanti anni a questa parte, vero e proprio vertice della fantascienza, almeno per me, è la vista del Mare della Tranquillità. Deserto lunare buio e solitario, la Terra sullo sfondo, nel cielo, a fare le veci della luna, che, per un istante, agli occhi del protagonista, appare come un mare tropicale vero e proprio: sabbia bianca finissima, palme affacciate sull’acqua, cielo incontaminato solcato da fili di nuvole, sole alto e una ragazza in costume che corre verso le onde basse. Poesia e lirismo in una sola tavola. Ne basta soltanto una. La vignetta successiva, la stessa ragazza la vediamo in tuta pressurizzata, allargare le braccia per mostrare fiera il suo “mare”, una distesa brulla e senza vita.
Nono è una lunariana. Nata e vissuta sulla Luna. Ha dodici anni e una fervida immaginazione, quella che le permette di amare una roccia priva di atmosfera, senza farle anelare l’azzurro del pianeta Terra. È altissima, più di molti uomini adulti, perché in un ambiente a bassa pressione, un organismo si sviluppa al di fuori della consueta fisica terrestre, svettando. L’altro lato della medaglia è che, per le stesse ragioni, la sua struttura ossea è più debole del normale.
Planetes è un manga di Makoto Yukimura, edito in Italia in quattro volumetti da Planet Manga, a partire da giugno 2003. Space Opera, se proprio dobbiamo etichettarla in qualche modo, ambientata sul finire del XXI secolo, in una società che, ormai, ha compiuto il salto verso il cosmo e ha iniziato a colonizzare il proprio sistema solare, sfruttandone le abbondantissime riserve energetiche.
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Sulla Luna, sede fissa di una colonia, si estrae Elio 3, fonte di combustibile e motore dell’economia mondiale (vi ricorda qualcosa, vero?). L’umanità è più potente che mai, e, quasi per contrappasso, sempre più idealista. Si arriva ancora a uccidere per persuadere qualcuno della bontà delle proprie opinioni. Integralismi di chi ci vorrebbe sempre e soltanto legati al nostro pianeta natale, di chi vede il passaggio dell’uomo verso lo spazio come un’aberrazione. La razza umana è ben lungi da uno stato di cose perfetto. I problemi di sempre, inquinamento, malattie, ingiustizia sociale persistono, anche se mutate nella loro essenza e portata, di pari passo con gli importanti traguardi raggiunti nella corsa dell’evoluzione.
Tre protagonisti, Hachi, giapponese, Fee, americana della Florida e Yuri, russo. Tre astronauti addetti alla raccolta dei rifiuti spaziali, satelliti artificiali che hanno cessato di funzionare, viti, bulloni persi dagli astronauti in fase di riparazione, qualunque altro tipo di detrito che fluttua intorno al nostro pianeta. Pericoloso, soprattutto, per le astronavi di passaggio, gli shuttle trasporto passeggeri. Un oggetto grande non più di un uovo, alla giusta velocità, sviluppa energia cinetica sufficiente a squarciare le lamiere dei carghi, provocando fori di almeno un metro di diametro e la morte dei malcapitati.
Un lavoro importante, quindi, recuperare i rifiuti spaziali, rischioso e ben pagato, da effettuare su navicelle malandate con gli scafi simili alla superficie lunare, centrati negli anni da decine di oggetti vaganti, che li hanno resi simili a groviere.
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Nel mondo di Planetes ci si ammala ancora. Malattie debilitanti, nuove, comparse al mutare dell’habitat dell’uomo, il cui organismo s’è rivelato, com’è ovvio, impreparato al cambiamento. L’anemia stellare, patologia che colpisce il sangue degli astronauti, causata dall’assenza di atmosfera, e che li costringe al ritiro, è solo una di queste. Poi c’è l’osteoporosi, tra le tante, e l’invecchiamento precoce. Eppure, per certi uomini, che per tutta la vita hanno lavorato negli spazi siderali, non c’è luogo più bello per morire.
Si fuma anche, coi fumatori rinchiusi in stanze pressurizzate e a tenuta stagna. Una società bella, sporca, futuribile e, in una parola, realistica, tanto da rasentare la perfezione, perché tiene conto delle imprecisioni e delle infinite contraddizioni della nostra società e la modifica inscenando le proprie storie folli, commoventi e talvolta umoristiche, in un contesto tecnologicamente avanzato che, però, ha ben presente il trascorrere inesorabile del tempo, sugli oggetti, sulle apparecchiature, sulle persone, sia fisicamente, debilitandole, sia mentalmente, con tutta una serie di riflessioni filosofiche mai pesanti e soprattutto mai banali. E ci riesce, condensando a volte tutte queste suggestioni in una sola tavola. Mettere a contrasto, riuscendo armonico, una mano che impugna una sigaretta accesa e un tramonto sull’oceano, accompagnate dalla scritta “vivere è bellissimo” è davvero impresa per pochi.
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In questo primo volume c’è spazio per tutti e tre i protagonisti, per il mondo nel 2096, coi contrasti ai quali ho accennato, ma anche con un’indomabile spinta verso il futuro, verso Giove, con la progettazione e costruzione di motori a fusione nucleare per nuove astronavi che garantiranno la riduzione delle distanze e la possibilità di creare colonie orbitanti intorno al gigante gassoso, onde sfruttarne gli infiniti giacimenti.
Ma non solo, c’è spazio anche per le vacanze terrestri, la sospirata licenza che consente agli astronauti di tornare a casa a rilassarsi, mantenendo sempre lo sguardo verso l’alto, verso quel cielo stellato che, un tempo, rappresentava il confine ultimo e che adesso è solo la nostra casa. Una dimora di cui non vediamo il limite perché, forse, non esiste.
Superiore alla versione animata in tutto. Consigliatissimo.
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